Emanuela Orlandi – sviluppi

Emanuela Orlandi – sviluppi

Emanuela Orlandi – sviluppi del rapimento che si estendono dalla sua scomparsa avvenuta il 22 giugno 1983 attorno alle ore 19:30 fino ad oggi. Mentre nell’articolo precedente ho scritto dei dettagli della sua scomparsa, ricostruiti a posteriori, qui vi scriverò degli sviluppi del caso. Gli sviluppi riguardano le prime telefonate, le lettere e tutto quello che è avvenuto nei quattro anni successivi alla sua scomparsa. Nel prossimo articolo troverete un riassunto di tutte le piste seguite nelle vicende.

Il precedente articolo riguarda Emanuela Orlandi prima della sua scomparsa (link). In un altro articolo avevo scritto della criminologia dei rapimenti (link) e uno sulla psicologia delle sparizioni (link).

25 e 26 giugno – Le telefonate di Pierluigi

Verso le 18 del 25 giugno 1983 arriva la prima telefonata di un presunto Pierluigi. Lo zio di Emanuela risponde e lo identifica come “pariolino”. Gli abitanti del quartiere Parioli sono considerati della “Roma bene” e tendono a non avere l’accento che tutti noi associamo ad un romano.

Pierluigi dice che la sua fidanzata di 14 anni avrebbe incontrato due ragazze in Piazza Campo dei Fiori. Una delle due, Barbara, ha un flauto, oltre ad alcuni oggettini che vende, anche dei prodotti Avon. La fidanzata si sarebbe fermata a parlare con queste due ragazze, suggerendo a Barbara di guadagnarsi i soldi suonando il flauto in Piazza Navona invece di vendere quelle cose. Barbara non suona perché per leggere deve mettersi gli occhiali da vista con la montatura bianca ma non vuole perché si vergogna e crede che la rendano brutta.

Alle 21 circa richiama per la seconda volta. “Mi sono ricordato che Barbara aveva detto di essere affetta da astigmatismo a un occhio. Perciò avrebbe dovuto portare degli occhiali a goccia”.

Alle 20 del 26 giugno 1983 si rifà vivo Pierluigi per la terza ed ultima volta. Dice di avere 16 anni e di essere in un ristorante al mare con i suoi genitori e per questo non sarebbe riuscito a richiamare prima. In sottofondo si sentono rumori di piatti e posate, oltre a molte voci. Lo zio gli propone di incontrarsi, potrebbe venire in Vaticano. Dopo questa affermazione, Pierluigi avrebbe risposto “In vaticano? Ma lei è un prete?”.

La voce e il lessico non sono però di un sedicenne.

L’intervento del SISDE

A casa continuano le telefonate di sciacalli, presunti avvistamenti e simili ma nessuna davvero fondata. In casa Orlandi si sono trasferiti lo zio Mario, con la moglie ed i figli Giorgio, Pietro e Monica.

Quasi verso la mezzanotte del 26 giugno i gendarmi fermano una A112 a Porta Sant’Anna. In macchina ci sono due uomini che chiedono di loro, sono Giulio Gangi e Marino Vulpiani. Marino è studente di medicina mentre Giulio è un agente in servizio al SISDE. Ci sono voci di paese per cui Monica Meneguzzi fosse intima di Giulio ma quello che è certo è che Monica chiede aiuto a lui per le ricerche, non sapendo fosse del SISDE ma solo un poliziotto.

Pietro Orlandi li riconosce di vista, dato che Torano è davvero un piccolo paesino di circa 700 anime. Mario Meneguzzi avrebbe salutato Giulio dicendo “Ah, sei tu” secondo i ricordi di papà Ercole. Quella sera però Giulio si presenta come agente del SISDE e dice di essere venuto ad aiutare. Dice di aver visto in ufficio l’informativa sulla scomparsa di Emanuela e che il suo superiore lo ha mandato a controllare dato che conosce la famiglia. Marino diventerà medico ma quella sera si comporta proprio come un vero agente sotto copertura e non si sa come mai si presenti anche lui.

Giulio dice subito che ha una pista da seguire. Pietro Orlandi, Marino e Giulio salgono sulla A112 per andare a fare una retata. Un civile, un agente dei servizi segreti e uno studente vanno a fare una retata per la pista di Giulio, la tratta delle bianche.

La presunta retata

Poco prima di partire Giulio mostra a Pietro le armi che ha nascosto sotto il sedile, sul pianale. Sembra un arsenale degno dei migliori 007. Tutto questo lo fa davanti alle guardie svizzere che però non dicono nulla.

I tre partono e si dirigono al quartiere Prati. Vanno in una traversa di via Ottaviano. Pietro rimane in macchina mentre gli altri due vanno a fare la “retata” con le armi in mano. Dopo circa mezz’ora Giulio e Marino tornano alla macchina, senza dire nulla e si dirigono verso il Vaticano.

Il 27 giugno 1983 il fidanzato di Natalina porta un registratore per poter registrare le telefonate. Lo stesso giorno esce l’articolo su Il Messaggero che parla della scomparsa di Emanuela. (link) Questo articolo è quello che viene citato nelle telefonate di “Mario” del 27 giugno 1983.

Le telefonate di “Mario”

La telefonata inizia con una voce femminile registrata. La voce è quella di Emanuela che, anche se è molto difficile da capire a causa di interferenze e del fatto che si tratti di una registrazione, parla di sé stessa. A gennaio compirà 16 anni, “dovrei fare la terza liceo scientifico str’altr’anno al Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II” e parla di un paesino sperduto verso Santa Marinella. Le informazioni dette da Emanuela vengono fatte sentire diverse volte in circa 3 minuti e 57 secondi, proprio perché si sente davvero male. La prima parte si chiude così.

Un uomo parla di un altro che comprava profumi e altre cose e cercava di iniziare un progetto per venderli alle sfilate di moda o agli eventi mondani. Questo tentativo di affari non gli era mai riuscito a causa del fatto che sembra una “paccottiglia”. Un ragazzo di 22 anni, per bene e che vive con altre due ragazze e che vanno a rivendere questi prodotti anche a Ostia o Torvaianica. A volte però avrebbero venduto i loro prodotti anche a piazza Navona, proprio dalle parti di corso Rinascimento.

Una sarebbe belga ma parla bene inglese, si chiama Monique/Monica e ha 22 anni anche lei. L’altra sarebbe veneziana, Barbarella/Barbara di nome e ne avrebbe 16/17 circa. Monica ha i capelli rossi mentre Barbara li ha corti, da maschietta (forse caschetto) e tipo brunetta (castano scuro o bruno). Barbara, la presunta Emanuela però sarebbe alta oltre 1,60 secondo il telefonista (de più, de più). Dice di aver chiamato dopo aver letto l’articolo su Il Messaggero. Dice che Barbara è sul giusto mentre Monica sarebbe grassottella, forse per la birra che beve.

Questo giovane di 21 o 22 anni vivrebbe in centro, dalle parti del Teatro dell’Orologio e il telefonista lo definisce figlio di papà, anche se il padre è agricoltore e ha una casa anche al Gianicolense (altro quartiere romano). Dice anche che ci sarebbe anche una moglie/ragazza ufficiale di 23 anni con cui vive, anche con lei. Il presunto 22enne frequenta il bar della piazza dell’Orologio, tra corso Vittorio Emanuele e Castel Sant’Angelo.

La presunta Barbarella/Emanuela sarebbe tornata a settembre per il matrimonio di un parente o fratello. Dice che parla italiano e non si capisce perché dica veneziana. Il telefonista dice che per lui Meridione e Settentrione è tutto uguale, parlano tutti italiano.

Il punto interessante, non sottolineato, è a pagina 33. Il telefonista dice che ha chiamato ma ha paura per il suo amico e dice che lo inviterà a parlare lui stesso con la polizia per evitare “problemi” dato che vive in casa con altre due ragazze, di cui una sembrerebbe minorenne.

“Mario: ma io ci so’ rimasto, perché oggi di gente che va … tipo ENZO TORTORA, per esempio – che sia camorrista non ci credo manco pe’ … Per dire, no, di gente che va a finì dentro per coincidenze, magari, capito?”

Lo identifica come qualcuno che vive nel quartiere Parione, che prende tutto corso Vittorio Emanuele, non Parioli come pensava lo zio di Emanuela, al telefono con lui e che si spacciava per il padre di Emanuela.

Poi dice che il presunto giovane, sta anche a Monteverde, altro quartiere di Roma, dove ha la casa della madre. Dice che non è proprio romano ma laziale.

Il telefonista dice che ha 35 anni, poi corregge dicendo che va qui quaranta. Dice di essere bassetto. A un certo punto gli scappa di dire “un domani mia figlia venisse a casa, si trovasse, eccetera, a me non interessa andare avanti”.

Barbarella non suona ma canta. Non ha detto nulla sul fatto di suonare ma solo sul fatto che canta.

Verso la fine della telefonata lo zio chiede al telefonista se si trova in una palestra perché si sentono dei rumori in sottofondo. Il telefonista dice che è vicino ad una scuola e gente che “sta a vede’ borse”. Dice “qui ce stamo a fracica” (bagnare) perché piove, c’è il diluvio. Il telefonista dice che si chiama Mario e che ha fatto il “fornaro”, avrebbe fatto di tutto come lavori. Il tutto è molto caotico e si può leggere qui.

Il rallentamento

Il 28 giugno compare sulla scena Gianfranco Gramendola, agente del SISDE che si faceva chiamare Leone e non rivelò all’inizio di essere dei servizi.

Sempre il 28 giugno una donna di 22 anni, Pasqua Vulpio, chiama a casa Orlandi per dire di aver riconosciuto Emanuela all’ospedale San Filippo Neri. Pasqua è iscritta a Filosofia presso l’università e abita nel quartiere Prima Porta. Non si sa cosa sia successo ma la ragazza dopo la telefonata cerca di suicidarsi. Dei passanti l’hanno vista scavalcare e cercare di buttarsi giù dal ponte Sisto ma i carabinieri sono riusciti a fermarla in tempo.

Le vicende misteriose attorno alla scomparsa di Emanuela sono solo all’inizio.

La sera del 30 giugno, Pietro Orlandi insieme ad amici e parenti riescono a tappezzare Roma con i manifesti che ormai sono noti a tutti noi.

Appello del Papa all’Angelus del 3 luglio 1983

Alla fine dell’Angelus domenicale il Papa esprime quanto segue:

“Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nell’afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa.

Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità in questo caso.

Elevo al Signore la mia preghiera perché Emanuela possa presto ritornare incolume ad abbracciare i suoi cari, che l’attendono con strazio indicibile. Per tale finalità invito anche voi a pregare.” (fonte)

L’intervento dell’Amerikano

Attorno alle ore 12:50 circa del 5 luglio 1983 arriva una telefonata in Vaticano, alla sala stampa coordinata dal monsignor Romeo Panciroli. L’anonimo simula un accento americano e chiede la liberazione di Mehmet Ali Ağca in cambio di Emanuela Orlandi, con termine ultimo il 20 luglio. L’Amerikano dice che “ulteriori elementi di prova sono a conoscenza del cittadino Orlandi Ercole attraverso le informazioni dei nostri elementi aventi nome Pierluigi e Mario”. La Santa Sede non dà notizia di questo contatto che verrà rivelato solo successivamente dallo zio Mario Meneguzzi. In questa occasione viene dettato il codice 158 per le comunicazioni con il Vaticano.

Dopo un’ora circa, verso le 14, l’Amerikano chiama anche a casa Orlandi. Dopo aver fatto ascoltare una breve registrazione della voce di Emanuela, dice allo zio di Emanuela che funzionari del Vaticano si sarebbero messi in contatto con lui. Appena lo zio riattacca, riferisce della telefonata alla famiglia e parla di “Amerikano” per via del modo di parlare.

Alla trasmissione “Chi l’ha visto?” ci sarà un’analisi dettagliata dei rumori di sottofondo nella telefonata.

Il caso è in mano a Margherita Gerunda, magistrato con esperienza in rapimenti e sequestri. Lei si concentra comunque sull’ambito della famiglia e degli amici perché è convinta che la vicenda del rapimento possa essere una montatura. Se Emanuela è davvero sequestrata, perché non registrare la sua voce mentre fa una dichiarazione invece di una breve dichiarazione senza senso? Perché hanno esitato per così tanto a chiedere il riscatto o avanzare le proprie richieste?

Telefonata Amerikano

L’intuito della dottoressa Gerunda probabilmente è fondato. Il nastro registrato fatto ascoltare probabilmente deriva da una sorta di presentazione che è stata fatta fare agli alunni della scuola di musica. Ogni presentazione veniva fatta con suoni di strumenti musicali in sottofondo. Probabilmente il pezzo fatto ascoltare il 5 luglio deriva dalla presentazione di Emanuela ed era l’unico punto in cui gli strumenti erano meno percepibili. I presunti rapitori potevano quindi aver avuto accesso alle presentazioni degli studenti della scuola di musica?

La svolta del 6 luglio

Una voce maschile abbastanza giovane e senza inflessioni chiama l’ANSA di Roma verso le 16:30. Riferisce che hanno Emanuela Orlandi e che la rilasceranno in cambio della scarcerazione di Mehmet Ali Ağca. Riferiscono che la telefonata del giorno prima è stata tenuta segreta dal Vaticano e invita il giornalista a recarsi in piazza del Parlamento, ad un particolare cestino. Non vuole dire a quale organizzazione appartiene.

Il giornalista corre nella piazza e trova una busta gialla. Dentro ci sono vari oggetti:

  • C’è una fotocopia con delle parole scritte “Emanuela Orlandi Vaticano Roma 6984982”.
  • Un foglio con la fotocopia della frase “Con tanto affetto la vostra Emanuela”.
  • La fotocopia della facciata anteriore (con foto) della tessera d’iscrizione di Emanuela alla scuola di musica.
  • Una fotocopia di ricevuta del versamento della rata scolastica per la scuola di musica da 5000 lire datata 6/5/83 (poche settimane prima della scomparsa), che era nello zainetto di cuoio.

Mario Meneguzzi, Ercole Orlandi e Pietro Orlandi riconoscono la frase come scritta da Emanuela.

La polizia e il magistrato hanno dubbi sulle presunte prove e sul fatto che i rapitori non si identifichino in alcun modo. In caso di sequestri, ci si identifica sempre, in questo caso non avviene o almeno, non subito.

Il cronista ascolta la telefonata del 5 luglio alla famiglia Orlandi ma dice che le due voci sono completamente diverse.

In questo stesso giorno Richard Roth inizia a parlare del caso Orlandi alla CBS, noto canale statunitense, in qualità di corrispondente da Roma. Richard Roth è lo stesso che era in compagnia del Papa nel viaggio in Polonia, lo stesso che riceverà anche quattro missive da Boston scritte dal gruppo Phoenix.

Il 6 luglio appare un articolo su Il Tempo che parla della scomparsa di Mirella Gregori.

L’evoluzione del 7 luglio

Questo stesso giorno Il Messaggero pubblica per la prima volta un articolo in prima pagina su Emanuela: “In cambio di Emanuela chiedono Alì Agca”.

Un uomo chiama a casa di Giordani Gabriella, amica di Emanuela, alle ore 12 chiedendo di una certa Laura ma lei gli dice di aver sbagliato numero. Alle 12:30 si ripete la stessa telefonata. Alle 13 un’altra telefonata ma quando la madre di Gabriella risponde, il chiamante riattacca.

Il 7 luglio l’Amerikano telefona a casa Orlandi verso le 16:15 per dire di aver parlato con Emanuela e riferisce alcuni particolari, secondo lui veritieri.

  • Emanuela è arrivata in Vaticano solo un anno dopo la nascita.
  • Natalina, la sorella, portava gli occhiali ma in quel periodo non li porta più.
  • Il sacerdote che deve celebrare il matrimonio di Natalina è un amico di famiglia.
  • Il cantante preferito di Emanuela è Claudio Baglioni.
  • Emanuela ha un’infatuazione per un certo Alberto che però è in servizio di leva in quel momento e chiede che questa informazione non venga diffusa.

In merito alle informazioni riferite dall’Amerikano ci sono delle imprecisioni. Emanuela è nata a Roma nella clinica Santa Famiglia il 14/01/1968 ma ha sempre vissuto in Vaticano, nel 1981 ha perduto la cittadinanza italiana acquisendo quella vaticana per naturalizzazione. Va ricordato poi che Emanuela ha preso la residenza in Vaticano solo tre mesi prima della scomparsa a causa di un errore negli uffici comunali.

In merito alla cotta di Emanuela va specificato che lei aveva una sorta di infatuazione ma non è mai nato nulla tra lei e Alberto perché lui non si è mai fatto avanti, anche se poteva essere un sentimento reciproco. Questo fatto era noto solo alle compagne della scuola di musica.

Testo della telefonata del 7 luglio 1983

Amerikano: «El signor Orlandi?»

Meneguzzi: «Sì, sono io».

Amerikano: «Mi sono recato ieri pomeriggio da ragazza, ho viaggiato, ho fatto il più presto possibile. Allora, prendi nota attentamente, prendi nota. E dunque la tua figliola non è nata in Vaticano. El primo anno de la sua infanzia, de la sua infanzia non è vissuta in Vaticano. Esatto? Poi la più grande, la più grande altra sua figliola, capisci? L’altra sua figliola, Natalina, pure lei metteva le occhiale e da tempo non le mette più. Allora… il sacerdote che deve celebrare la unione de la sua Natalina è un amico, conoscente de la famiglia. Ora il ca… come si dice, la star? L’atto… il cantante favorito de la ragazza… Baglioni Claudio . Poi… il…»

Meneguzzi: «Ma la mia bambina…»

Amerikano: «Guardi, io non ho tempo. Mi hanno riferito che lei m’ha chiesto il lunedì dove è stata al ristorante… Senta, signor Orlandi, io mi meraviglio del la sua intelligenza, questa non può essere, capisce, una prova, non capisce che noi potevamo pedinare la ragazza prima, prima di… de prelievo, non capisce che anche quindici, venti giorni ci sono pedinamenti. Io veramente meravigliato molto… Io penso questa mossa di inquirenti, capisce? Ora io… Ah! Poi un’altra cosa, ultimo elemento: a una ragazza tua piace un ragazzo di nome Alberto che ora militare. Ascolta, non dire queste cose ai giornalisti: questo mi avere chiesto tua figliola. La tua figliola ha detto: “Non divulgate queste cose”, come se una forma di pudore. Io dovere lasciare, io dovere salutare, veramente. Buongiorno a te…»

8 luglio 1983 – la telefonata a Laura Casagrande

Laura Casagrandre, compagna di scuola di Emanuela, riceve una telefonata verso le 16. Il chiamante è uno sconosciuto, un uomo maturo e che parla italiano con accento mediorientale. Al telefono risponde la madre ma è Laura a prendere gli appunti.

“Dimostriamo il buono stato della ragazza con la sua collaborazione nel consegnare questo numero telefonico di … tramite … con l’agenzia Ansa. Abbiamo prelevato la cittadina Orlandi Emanuela unicamente per la sua appartenenza allo Stato del Vaticano. Abbiamo atteso, per inoltrare la nostra richiesta, l’appello del capo di Stato Giovanni Paolo II, domenica 3 luglio. Funzionari vaticani e inquirenti della Repubblica italiana tendono a screditare la vera natura della richiesta, riducendo negativamente il tempo a disposizione per le nostre trattative. Ci appelliamo alla pubblica opinione e alle forze politiche, al fine che ci si indirizzi verso un dibattito per una scelta umanitaria nei confronti di Emanuela Orlandi. Non siamo un’organizzazione rivoluzionaria o terroristica, non ci siamo mai definiti tali. Ci qualifichiamo solo come persone che hanno interesse nella liberazione di Agca.

La cittadina Orlandi, attualmente non si trova in territorio italiano. Redigeremo un documento che sarà inviato con i prossimi sviluppi alla Segreteria di Stato del Vaticano. I termini devono concludersi per il 20 luglio e non entro venti giorni come pubblicato dagli organi  di stampa. Rivendichiamo esclusivamente tre contatti: martedì 5 luglio con la segreteria di Stato vaticana. Nella stessa ora dimostravamo la veridicità di questo contatto con i familiari. Una terza volta con l’Ansa mercoledì 6 luglio. In ogni contatto futuro dimostreremo la veridicità immediata. Le precedenti telefonate di cui riferiscono gli organi di stampa non ci appartengono. Non abbiamo sollecitato l’appello del papa di domenica 3 luglio, contrariamente attendevamo questo appello per il primo contatto. Invitiamo la segreteria vaticana a predisporre una linea telefonica diretta col cardinale Agostino Casaroli usufruibile con il numero di codice stabilito.”

La Questura convoca subito Laura, la quale riferisce che la chiamata proveniva da una cabina vicina ad una strada molto trafficata (si sentivano rumori di auto, moto e clacson in sottofondo). Laura dice anche che ha scritto il suo numero di telefono, insieme all’indirizzo, su un foglio di carta in possesso ad Emanuela.

8 luglio 1983 – le altre telefonate

All’ANSA di Roma arrivano due telefonate.

La prima telefonata è delle 18:15 circa. Un uomo con accento straniero dice che l’obiettivo della loro operazione è la liberazione di Ali Ağca. “Ha ricevuto il messaggio che abbiamo dettato a Laura, l’amica della Orlandi? È la prova che Emanuela è in ottima salute. È lei che ci ha fornito il numero di telefono dell’amica. Noi non svolgiamo questa operazione per propagandare chi siamo o che cosa siamo, ma solo per avere Agca. La chiave della trattativa non è una sigla…”. Purtroppo, la linea cade.

Alle 19 circa lo sconosciuto telefona di nuovo. “La chiave della trattativa non è una sigla ma la controparte di cui disponiamo e l’oggetto della richiesta. In Con i suoi mezzi e se vuole, (Agca nda) andare a Brandeburg. Lui capirà. Non credete alle sue rivelazioni. Non è vero che è un uomo fragile. Agca non è sotto processo…”

In queste due telefonate praticamente si lascia intendere che si tratti di un’organizzazione indipendente rispetto a quelle precedentemente note.

Alle ore 21,00 in casa Orlandi telefona lo straniero. La telefonata viene classificata dagli inquirenti come molto utile.

Un anonimo telefona in vaticano: “la cittadina Emanuela Orlandi attualmente non si trova in territorio italiano”.

9 luglio 1983

La madre di Mirella Gregori, Maria Vittoria Arzenton, rilascia un’intervista per il quotidiano Il Tempo. Afferma con certezza che Mirella è finita in un tranello perché non si sarebbe mai allontanata, non ne aveva alcun motivo.

I familiari di Emanuela fanno un appello, chiedono una foto di Emanuela con un giornale recente, il racconto di un episodio specifico e che cosa ha mangiato il lunedì prima della scomparsa.

Arriva una telefonata anonima alla redazione milanese della rivista Famiglia Cristiana dal presunto gruppo Lupi Grigi. Dicono che il corpo di Emanuela si trova nel lago di Bolsena ma le ricerche danno esito negativo.

Don Claudio Sorgi scrive un supplemento domenicale nella rubrica “Lettere al Vaticano” de L’Osservatore Romano della Santa Sede. “di Emanuela forse voi vorreste che noi parlassimo di più. Emanuela Orlandi è la ragazza, nostra vicina di casa, qui in Vaticano, che è scomparsa da alcuni giorni e di cui si è saputo che è in mano a un gruppo oscuro che per liberarla, chiede contropartite assurde. Che altro possiamo dire, oltre alle scarse notizie di cronaca? E’ un fatto tristissimo ma anche pericoloso. Non possiamo rischiare di fare rumore inutile in una vicenda che ha tutto da guadagnare col silenzio, il buon senso e la preghiera”.

Raffaella Monzi, compagna di scuola di Emanuela, va in Questura per essere interrogata. Dice che lei e Maria Grazia Casini hanno lasciato Emanuela alla fermata dell’autobus di corso Rinascimento verso le 19. Nel breve tragitto dalla scuola alla fermata Emanuela le avrebbe detto del lavoro, trovato insieme ad una sua amica, senza però dirne il nome. Emanuela parla di un solo giorno di volantinaggio per la AVON, dalle ore 16:30 alle 18:30 per 375.000 lire.

Verso le 20,25 nella redazione de Il Messaggero viene registrata una telefonata: “Qui brigate rosse, Emanuela Orlandi è stata uccisa”.

Verso le ore 22,00 nel rincasare, la madre di Gabriella Giordani, Elvira Muzzi, nota sotto la sua abitazione un giovane che guarda insistentemente in direzione delle finestre di casa sua.

10 luglio 1983 – appello del Papa

Il Papa sembra faccia un altro appello per il caso di Emanuela anche se online non ve ne è traccia. Quanto segue proviene da fonti online che riportano quanto segue:

“Come domenica scorsa, desidero raccomandare alla vostra preghiera Emanuela Orlandi, della quale anche io, e noi tutti insieme con gli afflitti familiari, attendiamo con ansia il ritorno. Chi potrebbe restare insensibile di fronte a questa, come ad altre simili prove tanto crudelmente penose? La nostra preghiera, mentre invoca protezione e incolumità per la giovane Emanuela, intende altresì implorare conforto e coraggio per i suoi cari. Ai genitori di Emanuela rinnovo l’espressione della mia partecipazione al loro dramma. Per parte mia posso assicurare che si sta cercando di fare quanto è umanamente possibile per contribuire alla felice soluzione della dolorosa vicenda. Voglia Iddio concedere che alla trepidazione di questi giorni faccia seguito finalmente la gioia dell’abbraccio tra la ragazza e i suoi familiari”.

10 luglio 1983 – telefonate

Alle 16 circa la madre di Gabriella Giordani, Elvira Muzzi, risponde al telefono e sente solo un uomo dire “Emanuela”. Dice che la voce sembra la stessa della telefonata del 7 luglio che cercava una presunta Laura.

Alle 17 Suor Dolore viene ascoltata di nuovo e riferisce una nuova versione: “… la lezione quel giorno è terminata alle ore 18,45, ora in cui tutti gli allievi sono usciti dalla scuola, compresa Emanuela”.

Daniela Marzari, compagna di scuola del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II e frequentatrice di Azione Cattolica insieme a Emanuela, viene raggiunta da Nicola Cavaliere in provincia di Reggio Calabria, dove si trova in vacanza per essere interrogata.

Alle 19:30 l’Amerikano telefona a casa Orlandi per rispondere alle domande fatte dallo zio il giorno prima ma le risposte non sono quelle richieste. Nonostante questo, gli inquirenti ritengono la telefonata come molto utile.

10 luglio 1983 – telefonate a Paese Sera

Arrivano tre telefonate in sequenza agli uffici del quotidiano Paese Sera alle 19:15, 20:40 e 22:35. Il telefonista è l’Amerikano. Nella prima telefonata l’Amerikano dà le indicazioni per recuperare uno scritto di Emanuela, indirizzato ai genitori, presso la cappella dell’aeroporto Leonardo da Vinci, c.d. Fiumicino.

Il redattore Alessandro Mazzerioli trova sull’altare, vicino al leggio, un foglio. È una fotocopia con il retro della tessera di iscrizione della ragazza all’istituto di musica con i timbri relativi agli anni 1979-80, 1980-81 e 1982-83. Sullo stesso foglio compare un messaggio scritto a mano e attribuito ad Emanuela: “Per Ercole e Maria Orlandi. Cari mamma e papà, non state in pensiero per me, io sto bene”.

Ore 20,40 seconda telefonata: “Il dettaglio del lunedì precedente al prelievo dimostra la volontà continua di screditare delle autorità vaticane e italiane. Per questioni tecniche devo interrompere. Chiamo più tardi”.

Ore 22,45 terza telefonata: “Contrariamente risulta demenziale il sopporre valida una prova del genere, sapendo che una ragazza era certo controllata per un periodo certo più lungo che non cinque giorni. Ribadiamo la nostra posizione e la sua scadenza entro dieci giorni. Le dichiarazioni del detenuto Agca non influiscono minimamente. Oggi abbiamo fatto pervenire ai familiari delle prove, delle informazioni sulla vita della ragazza: non certo il fatto del lunedì perché la ragazza era controllata. Poi, da oggi in poi, dovremo cambiare atteggiamento nei confronti della stampa, che continua a insistere che si tratta di un rapimento per estorsione. Parlate soltanto di Agca. Noi dobbiamo cambiare continuamente distretto lei capirà perché. Buongiorno, anzi buonasera”.

11 luglio 1983

Lo zio, Mario Meneguzzi, fa un appello e chiede di nuovo una fotografia di Emanuela con la copia di un giornale, per avere conferma che stia bene, o di dire dove ha cenato Emanuela il 20 giugno, il lunedì prima della scomparsa.

Gabriella Giordani va in Questura per essere interrogata. Dice che Emanuela è bella e appariscente e che a volte veniva infastidita per strada ma reagiva sempre rispondendo a tono. Non si sarebbe mai fatta attirare in una trappola del genere.

Vincenzo Parisi (SISDE) incontra il superiore di Ercole Orlandi, il prefetto della Casa Pontificia monsignor Dino Monduzzi, per ottenere informazioni. Solo nel 1994 verrà messa a verbale la dichiarazione di Parisi in tal senso, cioè quanto segue: “L’intera vicenda di Emanuela Orlandi fu caratterizzata da costante riservatezza da parte della Santa Sede che, pur disponendo di contatti telefonici e probabilmente diversi, non rese partecipi dei contenuti dei suoi rapporti la magistratura e le autorità di polizia… Ritengo che le ricerche conoscitive sulla vicenda siano state viziate proprio per il diaframma frapposto fra lo Stato italiano e la Santa Sede. L’intero svolgimento fu caratterizzato da numerose iniziative disinformative con fini di palese depistaggio, lasciando nel dubbio gli operatori…” 

12 luglio 1983

Marta Szepeswari, studentessa della scuola di musica, riferisce che verso le 18:30 è scesa giù per aspettare una compagna di classe e andare insieme a casa. Qui avrebbe atteso per 40-45 minuti vedendo un giovane di 24-26 anni, distinto, ben vestito, capelli castano chiari, leggermente ondulati e curati, di media statura, che fissava l’ingresso della scuola, come se aspettava qualcuno. Riesce a fornire abbastanza informazioni da permettere la creazione del seguente identikit.

La madre di Gabriella Giordani, Elvira Muzzi, riceve due telefonate ma non capisce cosa dice l’interlocutore. Verso le 10:30, mentre rientra a casa, all’altezza dell’albergo Sant’Anna di Borgo Pio, un giovane la urta. Verso le 13:30 lo stesso giovane la pedina e ha una macchina fotografica al collo, le sembra che cerchi di scattarle una foto. Non sarebbe lo stesso giovane che fissava le finestre di casa sua il 9 luglio.

Alle ore 21 viene sentito Felix, un polacco che gravita nel campo cinematografico come procacciatore di comparse o attori generici. Felix ha molti agganci a Cinecittà, da dove entra ed esce indisturbato e spesso gira con l’autista. Racconterà di sé quanto segue:

“Prendo contatti con le case di produzione e chiedo ai capi gruppo se c’è la necessità di persone per girare delle scene; in caso positivo avvio a dette produzioni persone che conosco e che so hanno desiderio o bisogno di lavorare. Tali conoscenze me le procuro anche attraverso approcci diretti con giovani che incontro casualmente per la strada, ovunque mi trovi. Vedo una bella ragazza, un tipo interessante, l’avvicino, mi presento e le faccio la proposta se vuole lavorare nel cinema”.

Federica Orlandi, sorella maggiore di Emanuela, riconosce in quest’uomo la persona che le offrì 100.000 lire per fare la comparsa nel film che si stava girando a Civitavecchia, Gli ultimi giorni di Pompei.

Su questa persona tornerò successivamente quando parlerò delle varie piste di indagine che sono state battute.

13 luglio 1983

Angelo Rotatori, amico del gruppo di Emanuela, dichiara che la conosce da circa 8 anni. la sera del 22 giugno avevano appuntamento tutti alle 19:15 davanti al Palazzo di Giustizia, precisamente ai giardinetti di Castel Sant’Angelo. Hanno aspettato Emanuela ma non vedendola sono tornati tutti verso le proprie case attorno alle 19:40. Nel 2008 dirà che sono andati a Piazza Sant’Apollinare per cercarla ma di nona verla trovata e di essere tornati a Castel Sant’Angelo subito dopo.

La sera del 22 giugno erano seguiti da un uomo che verrà riconosciuto dal testimone come Marco Sarnataro, detto “Ciletto”, membro della Banda della Magliana. Marco, morto nel 2007, aveva però confidato a suo padre di essere stato uno dei complici nel rapimento di Emanuela, avvenuto con una BMW scura presso Piazza Risorgimento su ordine di Renatino De Pedis. Dopo il rapimento l’avrebbero portata all’EUR e in cambio ha ottenuto una nuova moto.

Maria Grazia Casini dichiara che la sera del 22 giugno ha visto Emanuela alla fermata del 70 insieme ad un’amica. Non hanno preso l’autobus ma sono rimaste ferme lì.

Fabiana Valsecchi, compagna di scuola, dichiara che non vede Emanuela da un anno ma racconta di essere stata avvicinata da due giovani, a bordo di una BMW scura, nei pressi di Piazza Mazzini. La proposta era di fare pubblicità e guadagnare 200.000 lire. Lei però non ha voluto dare il numero di telefono e i due si sarebbero allontanati.

14 luglio 1983 – un altro pacco

A casa di Carla De Blasio, amica e compagna, arriva una telefonata di uno sconosciuto. Al telefono risponde la madre di Carla, Maria Sgrò, e, dopo che il telefonista si assicura che non si tratti di Carla, le riferisce quanto segue:

«Prenda un foglietto – proseguì l’anonimo interlocutore – devo farle una comunicazione. Non posso dirle chi sono. Emanuela, che sta bene, ci ha dato il suo numero di telefono. Nella piazza di San Pietro, che è vicino alla sua abitazione, in direzione della finestra dell’Angelus, depositiamo un nastro, inviato ai determinati periti che ritenevano un falso il primo documento fonico».

Dopo molte ricerche, non verrà trovato alcun pacco o nastro.

Gabriella Giordani si reca di nuovo davanti ai Carabinieri e racconta che: “Al rientro [da Ostia, dove erano andati tutti insieme al mare il 16 giugno 1983] … in via dei Corridori si è accostata una autovettura […] di colore bianco con alla guida due giovani. Quello posto a fianco del guidatore rivolgendosi al compagno e indicando verso di noi ha detto: ECCOLA, poi si sono avvicinati al marciapiede con l’auto e lo stesso giovane ha tirato fuori il braccio alchè Emanuela si è allontanata. I due si sono poi allontanati. Escludo che Emanuela li conoscesse ma questi si erano certamente rivolti solo a lei nonostante noi fossimo tutte insieme”.

Gli investigatori fanno un identikit dell’uomo sul lato passeggero, il quale somiglia in modo incredibile a quello misto da Marta Szepeswari la sera del 22 giugno davanti alla scuola di musica, in attesa.

15 luglio 1983

I carabinieri sono convinti che si tratti di un circuito di prostituzione minorile, la cosiddetta “tratta delle bianche”. La polizia punta sul terrorismo. Il magistrato titolare dell’inchiesta, Margherita Gerunda, pensa alla pista del maniaco sessuale che ha agito in modo isolato nei confronti di Emanuela.

Angelo Rotatori dà altre informazioni sulle due persone presenti in auto il 16 giugno e si riesce a fare l’identikit dei due.

Due giornalisti americani si presentano presso i carabinieri e riferiscono di aver scoperto che un seminarista che dava lezioni ad Emanuela, il giorno in cui è stata trovata la fotocopia della tessera di iscrizione con le parole, il religioso era proprio all’aeroporto di Fiumicino. Il religioso si chiama Ian Wilson.

16 luglio 1983

I carabinieri diffondo i due identikit degli uomini del 16 luglio chiedendo informazioni e aiuto a chiunque li riconosca.

Ian Wilson, detto anche “Giovanni”, viene sentito. È un religioso dell’ordine di Sant’Agostino, non ancora consacrato sacerdote, il quale svolge lezioni e incontri di catechesi alla parrocchia Sant’Anna. Dice di conoscere bene Emanuela ma che questa non avrebbe mai fatto confidenze a lui. È in Italia da tre anni e vive con altri due signori in una villa a Genazzano, Roma, di proprietà dell’Ordine. Dice di aver parlato con i due coinquilini della storia di Emanuela e di averla paragonata ad un altro rapimento famoso, quello dell’industriale Palombini. I due coinquilini negano, Ian ha detto loro di aver solo conosciuto la sorella ma non Emanuela stessa. Colpisce il fatto che è molto somigliante agli identikit fatti grazie alle testimonianze di Marta Szepeswari e Elvira Muzzi.

17 luglio 1983

Il Papa rivolge un altro appello dalla residenza estiva a Castel Gandolfo. (fonte)

“Ancora una volta vi invito ad unirvi con me nella preghiera per Emanuela Orlandi, circa la cui sorte il passare dei giorni non ha recato, purtroppo, alcuna schiarita. Con intima partecipazione mi faccio eco della trepidazione dei genitori: non si prolunghi ulteriormente lo sconvolgente dolore di una famiglia, che null’altro chiede se non di poterla riabbracciare. Con voi supplico Dio perché la pace e la gioia possano ritornare in una casa sulla quale da troppi giorni ormai grava una tragedia tanto dolorosa.”

Verso le 22 un uomo dalla voce giovanile e con un italiano perfetto chiama l’ANSA.

“è stato lasciato per voi un nastro avvolto in un manifesto lungo la scalinata che va da via della Dataria a piazza del Quirinale, vicino al muro del palazzo. Il nastro che indicammo alla madre di Carla era stato preso presumibilmente da due funzionari del Vaticano e non ne è stato reso noto il contenuto. Questa di stasera è una risposta ai periti che hanno esaminato il primo nastro”

I giornalisti accorrono e dopo poco, alle 22:35 trovano effettivamente la cassetta indicata dalla telefonata.

Trascrizione del nastro denominato “ORLANDI lato A retro“:

”Rendiamo noto alla pubblica opinione come gli inquirenti della repubblica italiana adducendo distorsioni economiche la nostra richiesta non riportino la minima conoscenza dei nostri presunti movimenti nel quadro della malavita organizzata italiana dimostrando una anomalia nei confronti della tradizione informativa. questo trova spiegazioni nella nostra estraneità’ ad ogni settore della vita pubblica e non pubblica italiana.

La richiesta di prova del lunedì 17 giugno è l’esempio principale dei tentativi di copertura delle nostre reali intenzioni. un marchingegno per posteriormente screditare la prova stessa in quanto è risaputo certo superiore ai cinque giorni il periodo di controllo nei confronti della prescelta persona. Regola e circostanza confermata dal pur tardo e allo stato attuale riniego dei investigatori militari.

Rileviamo come proseguendo l’opera di copertura della diplomazia vaticana non concede il beneplacito di menzionare la conferma delle informazioni ricevute sui trascorsi della cittadina Emanuela Orlandi e richiesta testualmente nel corso dell’appello del 9 luglio corrente mese ed inoltre non e’ data giusta lettura volutamente al periodo anteriore alla presentazione della richiesta con l’attesa dell’appello precipuo del capo di stato Giovanni Paolo II.

il documento allegato al comunicato di piazza San Pietro attesta il nostro disappunto per disinformazione e la mancanza completa di ogni minimo atto di volontà in riferimento alla consegna del detenuto Alì’ M. Agca. La risposta al primo appello non costituiva unicamente nella fotocopia. allegavamo telefonicamente delle informazioni sui trascorsi della ragazza. Informazioni richieste testualmente insieme alla prova del lunedì dai familiari nel corso del primo appello sono i seguenti: la cittadina Emanuela Orlandi ha vissuto un anno della sua infanzia in territorio italiano.

La sorella maggiore Natalina usufruiva di occhiali per vista; da un largo periodo ha interrotto l’uso. Il sacerdote prescelto per celebrare il matrimonio del 10 settembre 1983 e’ un conoscente di famiglia. Con questo ultimo tentativo di disinformazione interrompiamo ogni rapporto diretto che non rientri nell’ambito della consegna di detenuto Ali’ M. Agca. In osservanza alla imminenza dello scadere del tempo programmato per il bilancio interamente nullo ci troviamo a mutare la considerazione nella giovane eta’ della cittadina Orlandi Emanuela prescrivendo uno stato privo degli elementari diritti di sopravvivenza e deliberiamo di adoperare la nostra ansia di verifica permettendo il riscontro valido fotografico della vita della cittadina Orlandi Emanuela in contraccambio del primo effettivo apporto in direzione della consegna del detenuto Ali’ M. Agca. Potrà essere condotta al suo stato legittimo in contropartita della consegna del detenuto Agca.

Auspichiamo ulteriormente risposta ufficiale dalla segreteria vaticana per la predisposizione della linea diretta richiesta. Comunicheremo esclusivamente al segretario di stato cardinale Casaroli  l’iter tecnico da seguire per l’ uscita territoriale di Ali’ M. Agca”. Le dichiarazioni del detenuto Ali’ M. Agca sono irrilevanti per la nostra mancata qualificazione con elementi vicini al detenuto Agca o intenzionati alla sua eliminazione materiale. Chiediamo la consegna di Agca indipendentemente dalla sua presa di posizione pubblica. Rileviamo ennesimo tentativo di screditare in quanto può risultare elementare non ravvisare nell’ atteggiamento del detenuto M. Ali’ Agca ipotizzando un suo accordo e non attendere l’esito dell’operazione per dichiararsi e non venire meno nel frangente del fallimento della operazione tesa al possesso della controparte futura derivante dalle sue rivelazioni. Il detenuto Agca è fuori dal vincolo della magistratura italiana.

La sua sentenza è inappellabile attendendo due anni la conferma del suo non ricorso in appello siamo pervenuti al meccanismo della grazia. Nella ipotesi di rigetto della sottoscrizione da parte del detenuto Ali’ M. Agca che chiediamo la scarcerazione e la sua consegna e indirizziamo nuovamente al capo di stato Giovanni Paolo II al fine che domandi alla espressione più’ alta dello stato italiano ogni intervento la cui natura si pone esclusivamente sotto l’egida della considerazione umanitaria e che permetta la restituzione immediata della cittadina Orlandi Emanuela alla vita civile”.

Trascrizione del nastro denominato “ORLANDI lato B“:

È una registrazione che dura 7 minuti in cui si sentono urla di una giovane donna, lamenti e pianti. Si sentono anche tre voci maschili, di cui una metallica e rumori di traffico in sottofondo.

Alla fine del video è possibile ascoltare l’audio con le voci maschili.

La cassetta viene subito presa dal SISDE che dopo un giorno consegna già una relazione. Un’altra relazione è del SISMI ed è di una settimana dopo (22 luglio 1983). Il 30 luglio verrà inviata alla Procura anche la relazione della Criminalpol, sezione della Polizia di Stato, fatta solo ed esclusivamente sulla voce femminile e sui rumori di sottofondo.

Si parla di una registrazione di una voce femminile sottoposta a torture sessuali, di crescente intensità. Gli aguzzini sarebbero almeno tre persone che agiscono in sequenza e di queste, due rivelano un accento simile al romanesco. Si pensa a torture fatte con scariche elettriche, dato il rumore di sottofondo. Il soggetto femminile ad un certo punto pronuncia la frase “dovevo darti quel numero di telefono”. In sottofondo si sente anche rumore di traffico cittadino, addirittura un autobus che viaggia, il che fa pensare si tratti di una registrazione avvenuta in ambiente cittadino.

Nei punti dove si dovrebbero sentire le voci maschili, non c’è assolutamente nulla, sembra siano state cancellate.

Lo zio riconosce la voce come quella di Emanuela. In un successivo momento il fratello Pietro non esclude possa essere Emanuela. Raffaella Monzi esclude possa trattarsi di Emanuela: «Non ritengo di riconoscere la voce. Emanuela appartiene alla categoria dei contralti e lo sviluppo di quella voce registrata non mi sembra di quella categoria».

(Per chi non conoscesse le differenze, negli esempi presenti nel seguente video si capisce la differenza tra i vari tipi di voce – link).

Gli inquirenti parleranno sempre di film porno senza però indicare mai quale o fare confronti.

Questa registrazione delle torture rimane ancora oggi un mistero. Non è mai stata fatta una comparazione con la voce di Mirella Gregori. Nel 2022 sembra sia spuntata la cassetta con le voci maschili non cancellate.

18 luglio 1983

A tarda sera la Santa Sede annuncia la creazione di una linea telefonica diretta (6985) a cui si accede con il codice concordato (158).

“Dalle ore 10 alle ore 11 di domani, martedì 19 luglio, risponderà la persona desiderata (nda il Segretario di Stato cardinal Casaroli), in altri momenti sarà in funzione la segreteria telefonica”.

Alle 21:20 i rapitori telefonano all’ANSA per ricordare che la linea verrà usata solo per concordare il rilascio di Ağca e per ricordare il termine del 20 luglio, altrimenti “a farne le spese sarà un’innocente”.

Iniziano le ricerche subacquee nel tratto del Tevere, da Ponte Marconi al Ponte della Magliana, della Fiat 127 che il pescatore Lazzari Carlo dice di aver visto gettare dalla riva destra del fiume.

19 luglio 1983

In questo giorno esce un articolo non firmato ma scritto da Gian Franco Svideroschi che collega la vicenda di Emanuela al caso Calvi.

«Mettendo insieme — ha scritto Svidercoschi — certi particolari aspetti della regia di questa vicenda, fra il macabro e il fantasioso, sembra si vogliano ripercorrere con sgomento strade, meccanismi mentali, logiche perverse e segnali in codice, che condussero Calvi al ponte dei Frati Neri. Un evento criminoso emergente da una realtà sommersa fatta di banche, cosche, intrighi e giochi di alta finanza. Non ancora esplorati. Difficilmente esplorabili».

Il vicedirettore della sala stampa vaticana, monsignor Pastore, rilascia una dichiarazione ufficiale, dove dice che il Papa ha già perdonato Ali Agca. Dice però che loro non possono fare molto, se non rimettersi alle leggi italiane. Il monsignor dice però che Ağca non vuole uscire perché ha paura.  

Dalle ore 10 alle 11 non arriva nessuna telefonata sulla linea dedicata o con il codice comunicato dai sequestratori.

Verso le 14:25 il codice “158” viene scandito al centralino del Vaticano da qualcuno. La linea cade subito ma i tecnici della SIP riescono a stabilire che la telefonata proviene da un bar rosticceria di viale Regina Margherita (a 100 metri dal bar di Mirella Gregori).

Alle 15 e alle 15:19 arrivano due telefonate in Vaticano, un anonimo definitosi “colombo dell’organizzazione” chiede del card. Casaroli, ma interrompe la comunicazione entrambe le volte.

Verso le 18:57 l’Amerikano riesce a parlare con il Segretario di Stato, ma si limita a chiedere che i quotidiani romani pubblichino integralmente il testo del comunicato registrato nell’audiocassetta del 17/7/83. Chiede in particolare di questi tre: Il Messaggero, Il Tempo e Paese Sera. Un problema di centrale impedisce di individuare la provenienza della telefonata.

Alle 20:15 circa, l’Amerikano telefona all’Ansa da una cabina di viale De Nicola (meno di 30 metri dal bar della Gregori), riferisce di aver parlato con il card. Casaroli e di aver chiesto la pubblicazione ai quotidiani del messaggio fonico.

Monsignor Giovanni Battista Re ha già informato gli Orlandi della richiesta e un’ora dopo l’Amerikano telefona a casa Orlandi domandando se il segretario di Stato avesse informato dell’avvenuto colloquio, lo zio Mario risponde di “si”.

Il giudice Domenico Sica raggiunge gli uffici della Segreteria di Stato in incognito, passando per Porta San Damasco per una telefonata prevista tra le 22 e le 23, ma non chiama nessuno. Si trattiene nel Palazzo Apostolico fin quasi alla mezzanotte ma poi se ne va. Un quarto d’ora dopo l’Americano telefona al cardinal Casaroli dicendogli “non fate i furbi, che questi trucchetti non ci piacciono”.

Il giudice ha ora la conferma che nella sua squadra c’è una talpa e decide di cambiare i componenti ma non serve a nulla questa mossa perché un fatto simile si ripeterà a fine 1983.

20 luglio 1983

I giornali romani riportano il comunicato, così come richiesto.

Il settimanale sovietico Literaturnaia Gazeta, pubblicato a Mosca, afferma che Emanuela è stata rapita dai lupi grigi.

Verso le 11 l’Amerikano telefona a don Ambrogio Fumagalli, priore della comunità Benedettina della chiesa di Santa Francesca Romana al Palatino e sotto dettatura gli fa scrivere: “il governo della repubblica italiana, con il placito dello Stato Vaticano, intende non venir meno al possesso di uno strumento di propaganda quale il detenuto Alì Agca è stato trasformato dallo stato di isolamento e dalla promessa di agevolazioni. Pervenendo alla soppressione del 20 luglio, non perdiamo la speranza nella volontà di quanti possono adoperare un ultimo gesto risolutore. Ringrazio”.

Il testo viene recapitato all’ANSA ma alle 12 un rapitore chiama per dire che per motivi tecnici il messaggio non è stato trasmesso prima e ribadisce l’ultimatum per quella sera a mezzanotte.

Il Papa volge il quarto appello per il caso di Emanuela, un invito a pregare.

Il sostituto procuratore Margherita Gerunda, il capitano Mauro Obinu del Reparto operativo dei Carabinieri e Luigi De Sena, capo della squadra mobile si riuniscono per un vertice e decidono di affidare ad un tecnico della RAI una perizia fonica su tutte le telefonate relative al rapimento della Orlandi. Le perizie stabiliscono che dal 4 al 18 luglio ci sono state quattro voci in tutto a fare le telefonate: due stranieri, forse arabi, e due italiani.

21 luglio 1983

Due lettere arrivano rispettivamente all’ANSA di Milano e Il Messaggero, provenienti da Francoforte e spedite il 17 luglio. Non risultano firmate.

“Avvertiamo nuovamente le autorità italiane e il Vaticano. Liberate immediatamente Mehmet Alì Agca, Serdar Celebi e gli altri nostri amici! In caso contrario seguiranno altre azioni punitive come con Emanuela Orlandi! Anche voi siete raggiungibili”.

La Sala Stampa del Vaticano rilascia un documento visibile con la data del giorno precedente e solo in lingua portoghese. (link)

“È ancora viva in tutti la speranza che, nonostante sia scaduto il termine del 20 luglio fissato da coloro che hanno nelle loro mani Emanuela Orlandi, la voce della coscienza e gli appelli a essi rivolti particolarmente dall’angosciata famiglia e dal papa, li abbiamo trattenuti dal dare esecuzione al proposito omicida da loro manifestato. Condividendo con profonda partecipazione le indicibili angosce dei genitori e dei familiari, il santo padre rivolge un accorato, pressante appello ai responsabili della sorte della giovanetta perché si inducano finalmente a restituirla incolume all’affetto dei suoi cari senza porre condizioni che essi stessi conoscono essere inattuabili.

Il santo padre, in nome di Dio e dell’umanità, supplica i responsabili di aver pietà di una giovane vita, completamente estranea alla questione a cui essi si dichiarano interessati, e di una famiglia già troppo provata dal dolore di questi terribili giorni. Questo il papa insistentemente domanda insieme con tanti uomini rimasti quasi increduli di fronte all’atrocità di questa vicenda e, in particolare, insieme con i genitori, questo vuole fiduciosamente attendere, per questo egli prega e invita tutti a unirsi alla sua preghiera”.

Il SISDE, in possesso dei diari di Emanuela, invia alcune fotocopie alla Questura di Roma che le ritrasmette a sua volta in Procura.

Il pescatore Carlo Lattanzi viene sentito di nuovo circa quello che aveva visto il 23 giugno, della Fiat 127 buttata nel Tevere e del fatto che era stato avvicinato da due uomini che lo minacciavano di non parlare.

Elvira Muzzi, la mamma di Gabriella Giordani, va a fare il riconoscimento dell’uomo che l’avrebbe pedinata il 12 luglio. Riconosce come rapitore, al 70%, la figura di Oral Celik.

22 luglio 1983

Lo zio Mario Meneguzzi annuncia che ad occuparsi della vicenda da quel momento in poi sarà il legale della famiglia nominato da poco, Gennaro Egidio. Lo dice al TG1 e invita i rapitori a rivolgersi a lui per tutte le questioni connesse con il caso Orlandi oppure attraverso la linea riservata aperta con il Vaticano.

Ercole Orlandi dichiarerà che questo avvocato è stato loro presentato da Gianfranco Gramendola, agente SISDE con nome in codice Leone, e che non avrebbero dovuto pagare nulla per i suoi servizi. In Vaticano sono curiosi di come sia venuto fuori il nome proprio di questo avvocato. Anni dopo Gramendola smentirà il fatto e non chiederà un confronto tra Ercole e Gianfranco/Leone. Scoprirà solo dopo anni che con la firma aveva nominato un altro avvocato, Massimo Krogh, come sostituto di Egidio in caso di impedimento.

L’Amerikano telefona nel pomeriggio a Il Messaggero: “Porteremo avanti le nostre richieste al di là della parentesi Orlandi”. Lui conferma che le lettere giunte il giorno prima da Francoforte sono autentiche. In serata chiama all’ANSA di Roma per dire che diffidano dei giornalisti per aver tentato di far intercettare le telefonate ma che li useranno ancora per i loro scopi. Avvisa i due giornalisti che hanno trovato la busta di stare attenti, perché sanno chi sono, avvisando di evitare scontri a fuoco perché inutili.

23 luglio 1983

Il magistrato titolare dell’inchiesta Margherita Gerunda cede il caso del tutto a Domenico Sica.

Viene proposta la sospensione delle ricerche del tratto di Tevere tra Ponte della Magliana e Ponte Marconi perché dopo 6 giorni di ricerche è improbabile che un’auto sia precipitata in quel punto, probabilità stimata al 70%.

24 luglio 1983

Il Papa fa un altro appello e invita a pregare per Emanuela ma di questa preghiera non c’è traccia online.

La scientifica della Polizia di Stato si reca sul greto del fiume, all’altezza di via Pian due Torri (Magliana) per effettuare rilievi fotografici in merito a tracce di erba calpestata.

25 luglio 1983

Un articolo su Stampa Sera parla del caso Orlandi e riporta le parole dell’articolo scritto ma non firmato da Svidercoschi in cui si lascia intendere che il caso di Emanuela possa essere collegato a quello di Calvi e degli scandali.

“La trattativa sarebbe condotta dall’avvocato Gennaro Egidio, scelto come uomo di fiducia della famiglia Orlandi su indicazione del Vaticano. Il legale aveva già assistito lo IOR (Istituto finanziario della Santa Sede) nella intricata vicenda Calvi – Banco Ambrosiano. … Mettendo insieme — ha scritto Svidercoschi — certi particolari aspetti della regia di questa vicenda, fra il macabro e il fantasioso, sembra si vogliano ripercorrere con sgomento strade, meccanismi mentali, logiche perverse e segnali in codice, che condussero Calvi al ponte dei Frati Neri. Un evento criminoso emergente da una realtà sommersa fatta di banche, cosche, intrighi e giochi di alta finanza. Non ancora esplorati. Difficilmente esplorabili».

Alle 10,55 presso la redazione de “Il Giornale d’Italia” giunge una telefonata da parte di un anonimo che in lingua italiana e senza nessuna inflessione dice: “Se entro mezzanotte di domenica 31 luglio Mehemet Alì Agca e Sedar Celebi non saranno liberati Emanuela Orlandi sarà eliminata. Dopo questa azione seguiranno quella prossima in cui tenteremo di nuovo assassinare Giovanni Paolo II. Questo nostro comunicato deve essere annunciato nel corso del TG1 ore 20,00 e dei mass media tra cui il vostro quotidiano pena torture Emanuela Orlandi. Seguiranno altri comunicati.”

Una telefonata anonima, con accento straniero, alla redazione “Famiglia Cristiana” minaccia di morte Emanuela e il Pontefice (“sovversivo della Cia”) se non verrà liberato Ali Agca: «se abbiamo fallito il 13/5/81, non falliremo stavolta». L’interlocutore spiega che «un’eventuale conclusione negativa della vicenda è legata alla responsabilità del Papa».

La famiglia Orlandi, per voce dello zio di Emanuela Mario Meneguzzi, ha reso noto un messaggio indirizzato ai rapitori. Chiede di contattare il legale e non loro perché sono stanchi di sciacalli e chiamate di mitomani. Continua a chiedere prove del fatto che Emanuela sia viva e afferma pubblicamente che sicuramente nel gruppo dei chiamanti qualcuno mente.

26 luglio 1983

L’avvocato Egidio sceglie la linea dura con il seguente testo:

“Messaggio a persona/persone o gruppo che detengono Emanuela Orlandi. Ribadisco quanto affermato dai miei clienti, uno di voi due mente […] io aggiungo che

1) avete inteso e tentato di screditare, minacciare e imporre condizioni per fini subdoli e vi siete screditati.

2) avete inteso dimostrare capacità, organizzazione, abilità ma i fatti dimostrano il vostro basso livello d’intelligenza.

3) i vostri messaggi, vedi quello del 17/7/1983, ne sono l’evidente dimostrazione.

4) agli occhi di tutti, voi apparite dei codardi perché il livello del vostro coraggio è dimostrato dal vostro atto: il rapimento di una ragazzina di 15 anni.

5)voi volete far credere all’opinione pubblica mondiale di avere una ideologia politica avanzando assurde richieste per camuffare il vostro intendimento di giungere forse a volgari richieste di denaro.

6) non avete neanche la capacità di smentire quello che tra voi due mente e a provare a me rapidamente chi di voi due detiene Emanuela e non la sua borsa soltanto!

Se voi sarete così codardi da non farvi avanti entro 48 ore il vostro silenzio sarà prova evidente per tutti, intendo tutti, che il vostro è stato un bluff, che siete ora completamente disorientati e siete sconfessati”.

Un anonimo telefona al settimanale Famiglia Cristiana: “Se entro il 31 luglio 1983 non libererete Alì Agca, uccideremo Emanuela Orlandi. Siamo i rapitori di Emanuela Orlandi. Uccideremo Giovanni Paolo II. Se abbiamo fallito il 13.5.1981 questa volta non falliremo. Casaroli-Giovanni Paolo II è un sovversivo al servizio della CIA… Giovanni Paolo II fomentare Polonia. Pubblicate questa notizia su vostra rivista per il bene di Emanuela Orlandi. Se non lo farete attenteremo anche famiglia cristiana. Salam.”

27 luglio 1983

Il Papa durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, recita un’Ave Maria per Emanuela, il settimo appello.

Sempre questo giorno, un mercoledì, i genitori sono in chiesa a pregare dalle 6 del mattino. Monsignor Pietro Canisio Van Lierde, agostiniano, vicario generale del Papa per il Vaticano, parla di colpevoli che usano Emanuela.

Nella sede del Corriere della Sera un anonimo con accento straniero detta queste parole: «Per Emanuela ultima voce in Vaticano dice: molto terrorizzata perché forse paura restata incinta. Due cose possibili: ricoverata convento segreto o Emanuela finita per sempre. Ordine cardinal Casaroli».

Gli inquirenti iniziano a convincersi che il caso di Emanuela sia solo una faccenda interna alle mura vaticane e decidono di non dare importanza alle varie telefonate o segnalazioni di cadaveri, come quella del presunto cadavere di Emanuela nella pineta di San Liberatore, sulle colline di Terni.

28 luglio 1983 – I controlli anagrafici su Emanuela

Gli inquirenti effettuano dei controlli anagrafici sulla famiglia Orlandi. All’anagrafe di Roma risulta il certificato di nascita di Emanuela che attesta che è nata il 14 gennaio 1968. La residenza risulta in via Nicolò V, dove risultano residenti la madre di Emanuela con gli altri quattro figli. Nel 1973 diventa effettivo il soggiorno in Vaticano e dal 31 ottobre 1981 diventano tutti cittadini vaticani a tutti gli effetti. C’è stato semplicemente un problema di aggiornamento dei dati da parte del Comune di Roma. Emanuela ha sempre vissuto in Vaticano, sin dalla nascita, solo che i registri non erano aggiornati costantemente.

Arriva un nuovo comunicato redatto dall’avvocato Egidio.

Messaggio, fonte blog Emanuela Orlandi

29 luglio 1983

La Bundelkriminalamt (BKA) è l’ufficio centrale per la collaborazione nello svolgimento delle questioni di polizia criminale. Assiste le forze di polizia tedesche nelle attività a carattere sovraregionale, internazionale o di particolare rilevanza. Il BKA, dopo attenta analisi, invia un appunto al Ministero dell’Interno italiano:

“Il testo delle lettere, identiche fra esse, sono scritte senza errori di ortografia. Nella dizione e nella forma grammaticale si denota nell’uso del linguaggio una deviazione dal tedesco puro. La prima e quarta frase sono senza errori. La seconda frase presenta una deviazione grammaticale: “die anderen unseren Freunde” (i nostri altri amici) La suddetta forma non è comune, mentre sarebbe stata corretta la seguente forma: “unsere anderei Freunde” (altri nostri amici) Nella frase viene usata la parola “gegenfall” (altrimenti) che nella lingua tedesca non viene utilizzata”.

È logico pensare che chi ha scritto i due comunicati partiti da Francoforte in data 17 luglio 1983 ha una conoscenza perfetta della lingua tedesca ma non da madrelingua natio bensì probabilmente come persona che ha appreso la lingua tedesca a livello accademico.

Maria Grazia Casini, interrogata di nuovo dai Carabinieri, conferma di aver lasciato Emanuela alla fermata in compagnia di una ragazza sui 15 anni, più bassa di Emanuela, con i capelli ricci, corti e neri.

Il silenzio stampa

Emanuela è scomparsa il 22 giugno. La prima telefonata risale al 25 giugno e poi i vari contatti si sono succeduti fino al 20 luglio. Dopo il 20 luglio c’è stato un silenzio stampa assordante, nessun comunicato, nessuna pista, nessuna lettera, il nulla assoluto.

Tutto riparte dopo un servizio su Panorama che parla della tratta delle bianche e della scomparsa di un’altra ragazza, Mirella Gregori. Non è la prima volta che il caso di Mirella viene associato a quello di Emanuela. Il 6 luglio ne aveva parlato il quotidiano Il Tempo e questo poterà Mirella a diventare “la seconda Emanuela” per i sequestratori.

Panorama, luglio 1983

Il 9 luglio la mamma di Mirella, Maria Vittoria Arzenton, rilascia un’intervista per Il Tempo per ribadire che qualcuno detiene sua figlia, che non si sarebbe mai allontanata di sua spontanea volontà.

Il 31 luglio sempre Il Tempo rileva che il 10 giugno 1983 i Gregori avevano sollecitato il Papa e si erano anche rivolti al presidente della Repubblica Sandro Pertini. Il Presidente ha risposto con una lettera il 29 giugno dicendo che si stava interessando alla vicenda.

Dopo 14 giorni di silenzio da parte dei rapitori/sequestratori, riprende tutto il caos.

4 agosto 1983

I Carabinieri trasmettono alla Procura alcune lettere pervenute all’avv. Egidio. Una in particolare attira l’attenzione. La lettera è composta da due fogli dattiloscritti, spedita da Scesta (LU). La lettera è datata 23 luglio 1983, spedita il 25 e con timbro di arrivo a Roma del 26 luglio.

Lo scrivente si firma “Il Portatore di Luce” e scrive che “i rapitori di Emanuela sono un esiguo numero di persone: Azionisti del Banco Ambrosiano danneggiati nei loro risparmi a causa dello Stato del Vaticano, in combutta col Governo Italiano, che non ha rifuso quanto doveva al sopra detto Banco Ambrosiano.

Lo scopo del rapimento di Emanuela non va ricercato nella liberazione di Alì: l’attentatore del Papa, poiché i rapitori si sono prefisso di far conoscere al MONDO questa palese ingiustizia, anche se lo Stato Colpevole si chiama Vaticano: Stato coperto da sempre sotto l’etichetta di un Ente falsamente religioso”.

La lettera si conclude con la richiesta all’avvocato di fare: “ciò che non ha fatto il Generale della Polizia Italiana, convocando la vedova Calvi col suo avvocato.” Infatti, precedentemente, in un’altra missiva, Il Portatore di Luce scrive al “Signor Generale Comandante della Polizia di Stato” un altro dattiloscritto dove gli raccomanda che “Per poter giungere al traguardo del caso di Emanuela è assolutamente necessario ripercorrere il cammino tortuoso fatto da Calvi, fino alla sua ultima dimora sotto il ponte di Londra, con particolare attenzione al cammino fatto da Calvi nella città del Vaticano”.

Il “Komunicato 1”

Alla redazione dell’ANSA di Milano giunge un comunicato con un nuovo ultimatum e la richiesta di liberazione di Alù Agca. È la prima volta che compare una firma: Il Fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh. È una lettera, un espresso, timbrata dal centro meccanograffico di Milano-Peschiera Borromeo alle ore 19 del 3 agosto, affrancata con marche da bollo per atti giudiziari per un totale di 3.100 lire.

“Emanuela Orlandi nostra prigioniera passerà all’esecuzione immediata il giorno cristiano 30 ottobre. Voi sapete che questa data è la resa del nostro paese sacrosanto et invincibile nell’anno della vostra grazia 1918. Condizioni per liberarla sono queste: liberazione immediata di Agca-xxx- Mirella Gregori? Vogliamo informazioni. A queste condizioni la libereremo. Per dare prova di questo comunicato diamo le seguenti informazioni su Emanuela che ha dato: nell’anno 1974 ebbe crisi di repulsione per latte. Suoi amici sono tre giovani, capelli neri. At età di 13 anni e mezzo, crisi nervosa; andata in chiesa giorno 22 aprile. Sei nei sulla schiena.”

C’è una parziale conferma in alcuni particolari ma non completa. È la prima volta che i rapitori/sequestratori parlano di entrambe le ragazze scomparse in un comunicato e finalmente appare una firma.

La telefonata da Taurianova (Reggio Calabria)

Nello studio dell’avvocato Egidio arrivano diverse telefonate di un tale Giovanni, sono circa 6 o 7. Una in particolare avviene il 4 agosto 1983. La SIP rileva che proviene dalla centrale di Taurianova (Reggio Calabria).

“Eh … (non si capisce) quant‘è vero che sto parlando qui che lei [Emanuela] è viva!” e che il capo della sua organizzazione, dal quale, a comprensione di Egidio lui si vorrebbe dissociare, “è cittadino americano è nato in America”. Nella lunga telefonata, trascritta in 15 pagine, Giovanni fa presente di non aver paura di essere intercettato perché in un posto sicuro e perché: “Sono capace di collegare 50 telefoni e quando intercetteranno telefonata non sarà una ma saranno 50”.

Ricerche nel Tevere

Proseguono le ricerche nel Tevere ma senza successo. La Fiat 127 rossa non viene trovata quindi si decide per un esperimento della scena vista dal pescatore. L’auto, a motore accesso, non riesce ad arrivare in acqua come descritto dal pescatore quindi la si aggancia e la si trascina nel fiume. L’auto percorre circa 100 metri prima di colare a picco nel fiume. In quel punto non trovano comunque nulla. le ricerche sono conclusive e non si cerca più nel fiume.

6 agosto 1983

La famiglia Gregori affida l’incarico del caso all’avvocato Gennaro Egidio. A differenza degli Orlandi, i Gregori pagheranno sempre il compenso all’avvocato.

8 agosto 1983

Alle ore 15 circa arriva una lettera a casa Gregori. Si chiede un intervento del Presidente della Repubblica Sandro Pertini. Si tratta del primo contatto con la famiglia Gregori.

Nel primo pomeriggio arriva anche il secondo comunicato del Fronte Turkesh per posta alla redazione di Milano dell’ANSA. La busta è affrancata come raccomandata espresso ma con due marche del tipo Cassa di Previdenza, una da 2.000 lire e l’altra da 500 lire, una marca da bollo per patenti da 11.000 lire del 1982 e due francobolli da 170 lire. Il totale è di 13.840 lire. La lettera è stata spedita il 6 agosto ed è stata timbrata dal centro di smistamento di Milano-Peschiera Borromeo, come la prima.

Komunicato 2. Avete assolto nostra seconda richiesta su Mirella Gregori. xxx. 17-13-17  il nostro gruppo est diviso at seconda o prima condizione et ultima libereremo Emanuela Orlandi, se il papa sommo pontefice della vostra Chiesa dirà in domenica 7 agosto queste parole; a costo della vita la libereremo se queste parole sommo pontefice della vostra chiesa pronuncerà: “Alì Agca è un essere umano come Emanuela Orlandi, come tale trattato”.

Genitori, chiedete questo, Emanuela è viva e non ha conseguenze. Turkesh. Attenzione riproducete al Tg1 e 2 questo comunicato perché chi la vuole uccidere o assassinare sarà in minori condizioni di farlo. Per i genitori descriviamo in questo modo carattere di Emanuela sempre vicina a voi chiede bibite et a volte siamo in grado di fornirla noi del gruppo chiede di ragazzo che ha dato per lei prova di amore. Considerate i numeri. Se i genitori vogliono informazioni su Emanuela chiedano cose che sanno solo loro et Emanuela alle 23 alla Rai”.

Lo zio Mario chiede nell’edizione notturna di avere alcune risposte come riprova del fatto che Emanuela è viva:

  • dove e con chi Emanuela cenò la sera del 20 giugno;
  • il nome del cane di famiglia prima dell’attuale Brick;
  • di ascoltare la voce registrata di Emanuela che legge una frase del Messaggero o Il Tempo del 9 del 10 agosto 1983;
  • di ricevere una lettera scritta da Emanuela che riporti una frase di uno dei due quotidiani;
  • che cosa usava fare Emanuela prima di addormentarsi.

13 agosto 1983 – Komunicato 3

Arriva il terzo comunicato all’ANSA di Milano. È affrancato con dei francobolli e risulta spedito da Ancona. Dentro ci sono tre ritagli di giornale del 9 agosto con i commenti al precedente comunicato. C’è una cartina in scala 1:300.000 dell’Italia centrale dove è evidenziata con un pennarello rosso la zona della Toscana comprendente il Monte Amiata e i comuni di Arcidosso e Grosseto. È presente anche un foglio scritto su due facciate, la prima battuta a macchina e l’altra manoscritta a stampatello con una biro nera.

Komunicato 3 SOS Nessuno può indicare luogo et data et situazione senza essere autore di tentativo di salvataggio. Alleghiamo in questa lettera il luogo dove vostre forze possono circondare il luogo in cui Emanuela è tenuta prigioniera. Una data interessante può esservi quella del 25 dicembre. Questo sanno i genitori – xxx – situazione est difficile ma ogni non pubblicazione del messaggio favorisce fautori eliminazione Emanuela. Pubblicate. Il mio nome è Alì “Tucum” Antonov Alexej Ulusu… A morte Kenan Evren.

La parte dattiloscritta elenca otto particolari riguardanti Emanuela, incolonnati e preceduti da numeri romani:

  • Bionda da bambina;
  • Professoressa con gli occhiali;
  • Foto fatte da lei appassionata fotografie;
  • Cena lunedì a casa di parenti molto stretti;
  • Attenti voi state attenti a giovane con lettera B;
  • Voleva farvi un regalo per Natale;
  • Chiesto problemi di sesso at 12 anni – non est violentata et prega;
  • Molto innamorata canzoni Gino Paoli.

La parte scritta a penna:

Kominicato 3.  (da Ancona perché… Ascoli Piceno). Dopo le 3 x avverrà una parte di comunicato che non deve essere pubblicata con qualsiasi mezzo. Sarebbe a discapito della vita di Emanuela. Abbiamo un’unica condizione per liberarla “le parole del papa”. Per quanto riguarda la Gregori noi stessi stiamo facendo indagini. Se non l’avete capito per quanto riguarda Emanuela la libereremo dopo le parole del papa kosti quel che kosti.

Basta che siano entro il 28-8, la dimostrazione di autenticità del K sta in Kuesto (alle richieste) risponderemo in parte e capite perché e vi parliamo data la nostra lotta interna di far sapere che sono circondati. Entrambe sono vive e l’italiano sconclusionato est stato un metodo. Cenò il 20 giugno a casa di parenti molto stretti. Registrazione non possiamo, neanche autografia alleghiamo comunque un passo di giornale del 9-8 che è interessato per voi a Emanuela. Prima di andare a letto pregava. Altro non possiamo sapere per nostra situazione. PS agire con la massima cautela e discrezione.

Le ricerche nelle località segnate saranno inutili.

Foto Komunicato 3, fonte blog Emanuela Orlandi

16 agosto 1983

Davanti ai Carabinieri della Compagnia di Bolzano compare la signora Anna T., casalinga e componente di una associazione chiamata Movimento Sacharov non legata a partiti politici che ha come scopo sociale la salvaguardia dei diritti dell’Uomo. A processo verbale riferisce che nel mese di maggio ha ricevuto una telefonata da un sedicente profugo bulgaro, tale Theodor Hlebaroff, per vedere salvaguardati i suoi diritti e di cercare lavoro nella provincia di Bolzano.

Dopo un incontro de visu, la signora Anna lo descrive:”poco equilibrato, di avere un carattere collerico e potenzialmente violento”. Ha attaccato il vaticano parlando male delle sue gerarchie e della politica del Papa nei confronti dei paesi dell’Est, di essere fuggito dalla Bulgaria e di essersi portato in Turchia per poi giungere in Europa e infine in Italia, nella fattispecie al campo profughi di Latina nonché di aver abitato a Ravenna.

Aveva idee di estrema destra e non a caso aveva avuto contatti con l’organizzazione locale “Sudtiroler Heimatbund”, le aveva colpito la sua avversione per il sesso e le donne e le aveva raccontato di aver incontrato Alì Agca. Alla signora Anna viene fatto ascoltare il nastro rinvenuto in via della Dataria il 17 luglio con la voce dello straniero:  “l’accento e la cadenza della registrazione è uguale alla voce di Theodor Hlebaroff, anche se il tono del messaggio registrato è più freddo e monotono, come se stesse leggendo un messaggio”.

Ricorda infine che il 19 luglio il bulgaro le disse al telefono che era a Roma e chiedeva se il Vaticano avesse accettato la sua domanda di cittadinanza. “Alla mia risposta negativa il Hlebaroff con tono molto alterato ed in lingua tedesca ha detto che in Roma lui ed altri suoi amici avrebbero fatto forti pressioni contro il Vaticano […]”.

22 agosto 1983

Un sedicente dipendente di banca e rappresentante di una compagnia cinematografica, chiede appuntamento con l’avvocato Egidio per avere l’autorizzazione a girare un film sulla scomparsa di Emanuela. Lo stesso, figlio di un “gentiluomo di Sua Santità”, precisa che per ottenere l’autorizzazione della famiglia Orlandi è stato consigliato da un monsignore e che tutti i soci sono di origine russa.

23 agosto 1983

La Questura di Roma invia a Domenico Sica un elenco di ragazze minorenni scomparse da Roma e provincia dall’agosto 1982 a luglio del 1983. Risultano 177 ragazze scomparse di cui 37 non rintracciate. La numero 78 è Mirella Gregori, la numero 111 è Emanuela Orlandi.

29 agosto 1983

All’avvocato Egidio arriva una lettera dattiloscritta a firma Emanuela.

«Carissimi mamma e papà, finalmente le persone di cui sono ospite mi hanno permesso di rivolgermi direttamente a voi, per farvi conoscere esattamente la mia situazione, però dato che quando loro sono presenti io debbo stare bendata e per di più adesso sono legata a una sedia, non posso scrivervi di mia mano, ma dettando i miei pensieri a una di queste persone che li scrive poi a macchina. In più tenete conto che quello che viene scritto è solo quello che sono d’accordo anche loro.

Dunque quello che dovete sapere è che nel primo mese pressappoco dopo che sono diventata ospite di queste persone, non sono stata troppo male, dato che quando mi sono svegliata dopo che mi fecero quella puntura calmante, sono rimasta sempre in una stanza non tanto piccola, senza finestre, ma illuminata con una plafoniera per parecchie ore al giorno e col ricambio dell’aria in continuazione.

Non ero né legata né niente, per dormire avevo una brandina, mi passavano un pasto solo al giorno, da uno sportellino che aprivano in fondo alla porta, ma dato che potevo muovermi poco era più che sufficiente. Solo che al posto della mia roba mi avevano messo una loro maglietta di cotone bianca senza maniche e un paio di pantaloncini sportivi blu, quelli lucidi con gli spacchetti ai lati e il bordino bianco.

Però mi avevano dato anche i libri per prepararmi agli esami di riparazione, e anche qualche romanzo e altra roba da leggere. Ma un giorno, dopo avermi fatto bendare, mi hanno portato in un’altra stanza e mi hanno detto che siccome certe loro condizioni che loro avevano messo non erano state osservate, da quel momento la mia situazione sarebbe stata molto più brutta.

E infatti, dopo avermi spogliata, mi hanno legata per le braccia e mi hanno tirato su dal pavimento, e mi hanno frustata davanti e dietro dalla testa ai piedi e, peggio ancora, mi hanno torturata coi ferri arroventati in tante parti, che è stata la cosa più tremenda che potevo immaginare.

Io ho detto che colpa ci avevo se le condizioni non erano state osservate, che almeno prima di trattarmi male mi facessero avvertire i miei genitori di quello che andavo incontro per via di queste condizioni non osservate, che forse potevano fare in modo che loro avevano soddisfazione.

Ma non mi hanno dato retta, e mi hanno fatto sdraiare sulla schiena come in una tomba che poi hanno chiuso con una lastra di ferro. Ora qui è tutto buio, tolto uno sportellino per l’aria e quel po’ di cibo che mi calano ogni tanto, e non mi posso muovere dalla posizione che mi hanno messo in principio perché questa tomba è corta e stretta e il soffitto è molto basso.

Così è passato tanto tempo, non so quanto, perché per non impazzire non avevo che da pensare a voi e un po’ anche pregare. Poco fa mi hanno tirata fuori, e mi hanno rifatto il discorso delle condizioni, e che perciò la mia situazione sarebbe ancora peggiorata, non so come è possibile, ma sentivo che parlavano di una gruccia del pappagallo, di una ruota, di serpenti. E mi hanno detto che questo era l’ultimo peggioramento, perché la prossima scadenza mi avrebbero ammazzata, ma non così, come un colpo di pistola, ma al seguito di torture che non potevo neppure immaginare.

Al che ho strillato che di questo dovevano avvertire i miei genitori, perché a parte tutto continuando così a restare le cose tra me e loro era sicuro che fuori non poteva cambiare niente. Allora si sono messi a parlare nella lingua che parla qualcuno di loro, quelli che non sono italiani, e che non ho idea che lingua può essere, non, per dire, inglese o francese, ma una lingua che non ho mai sentito, neppure dai turisti.

Quando hanno finito, mi hanno detto che andava bene, che potevo avvertirvi, ma che da questo avvertimento entro tre giorni dovevate mettervi in azione con quelli che potevano osservare le condizioni e fargli sapere che poi da allora avevano soltanto dieci giorni per osservarle “per intero” perché se no sarebbero passati subito al peggioramento della mia situazione e poi dopo non molto tempo ad ammazzarmi.

Lo so che non ho bisogno di esortare voi a fare quello che vi si chiede, ma bisogna che se ne rendano conto anche quelli che debbono… le condizioni, che tra l’altro mi hanno detto i miei ospiti che a chi deve osservarle non costano niente, mentre per loro è di importanza eccezionale. Perciò fategli sapere tutto, quello che ho sofferto e il più che soffrirò se loro non acconsentono, e che io non voglio morire, tanto meno in quel modo che mi hanno preannunciato.

Adesso non posso più andare avanti, ma sappiate, con tanto affetto, che io sono sempre la vostra cara Emanuela. Lunedì scorso fatte ricerche sul Tevere».

La firma e la frase successiva sono scritte a mano con un pennarello blu. La scrittura non è di Emanuela.

29 agosto 1983 – La lettera al consolato

Al Consolato Generale d’Italia a Basilea arriva una lettera scritta in turco con timbro di annullo del 23 agosto. Viene spedita dalla cittadina di Olten del Canton Soletta e fa capire che i sequestratori di Emanuela sono dell’organizzazione culturale turca Svizzera e il piano del rapimento è stato preparato dal presidente della stessa organizzazione. Lo stesso vale per l’attentato al Papa, eseguito materialmente da Ali Agca ma organizzato da Omer Bagci, Serdar Celebi e Ilyas Kaya. Termina con l’indicare l’indirizzo dell’organizzazione dei Lupi Grigi a Olten (Turk Kulter Ocgi Tanwalt Str. 40. CH. 4600) e si firma D.T.pf.b.g.b. Olten.

Il controllo dell’indirizzo non porta a nulla, è la residenza privata di un cittadino turco estraneo a tutto questo.

31 agosto 1983

Alla redazione della Gazzetta del Mezzogiorno di Foggia arriva una telefonata anonima.

“Siamo del fronte turco anticristiano Turkesh. Emanuela Orlandi è stata giustiziata. Il suo corpo si trova in località Isolotto di Campi, in prossimità di Vieste. Sul posto troverete un altro messaggio. Abbiamo giustiziato Emanuela Orlandi dopo aver tentato tutto il possibile. Stessa sorte toccherà a Mirella, se si verificheranno le stesse condizioni. Trasmettere il messaggio al TG1”.

I Carabinieri di Vico Garganico effettuavano una ispezione nei luoghi indicati con esito negativo.

1° settembre 1983

Una lettera simile a quella del 29 agosto arriva all’ANSA di Milano, spedita il 28 agosto sempre dalla città di Olten. È scritta in lingua turca sgrammaticata, senza punteggiatura.

“Quelli che hanno rapito Emanuela sono dell’organizzazione culturale turca che sta in Svizzera. Il piano del rapimento è stato preparato dal presidente della stessa organizzazione.  Anche il piano dell’attentato al papa è stato realizzato da loro: Serdar Celebi, Agca, Omer Bagci, il presidente dell’organizzazione turca in Svizzera Ilyas Kaya che hanno preparato un piano del genere perché non avrebbero rapito la ragazza?

Minacciando cercheranno di salvare i loro uomini. Loro in questo momento sanno bene dove sta la ragazza. Io ho fatto il mio dovere di uomo. Dipenda da voi credere o no a questo avviso (“ihbar”). Secondo me Emanuela può essere anche in Svizzera. Saluti.”

Alle 15:30 arriva una telefonata alla DIGOS che dice di cercare Emanuela a Castel Sant’Angelo, vicino ad un tunnel. È una donna che ha una voce giovanile e senza alcuna inflessione dialettale.

4 settembre 1983 – ritorna l’Amerikano

Sono passati 44 giorni di silenzio. L’Amerikano telefona all’ANSA di Milano per far recuperare un messaggio in un cestino dei rifiuti in via di Porta Angelica e una busta nel furgone, un Fiat 238, di una troupe del TG2 a Castel Gandolfo.

“Prelevatele subito, altrimenti le sottraggono. Mi hanno detto di riferirvi che nelle vicinanze della basilica di Santa Francesca Romana il pontefice celebra la via crucis”. Alla richiesta di qualificarsi e di sapere se Emanuela fosse ancora viva, l’anonimo rispondeva: “tutto è contenuto nel messaggio”.

La redattrice dell’ANSA dichiara che l’anonimo aveva un forte accento anglosassone ma non le sembra la stessa voce dei precedenti comunicati del c.d. Amerikano.

La busta di via di Porta Angelica

Nella busta dentro al cestino, a pochi metri dalla casa degli Orlandi, trovano un’audiocassetta Agfa da 90 minuti e una fotocopia del frontespizio di un album che raccoglie spartiti. L’album di spartiti contiene quaranta esercizi per flauto del piemontese Luigi Hugues (1831-1913) che Emanuela aveva con sé il giorno della scomparsa ma la fotocopia è solod ella prima pagina, su cui ci sono scritti numeri di telefono e indirizzi di tre amiche di Emanuela: Laura Casagrande, Carla De Blasio, Gabriella Giordani. Il padre Ercole riconosce la scrittura come quella di Emanuela. Nella busta, oltre alla fotocopia ci sono anche quattro sassolini.

Nel messaggio sulla cassetta si trova quanto segue:

“Si vogliono non considerare i comunicati anteriori e posteriori il 20 luglio 1983, unica e mai rinnovata scadenza con richiesta di delucidazioni sulla posizione attuale dell’operazione di controparte della cittadina vaticana Orlandi Emanuela. Comunicati che confermiamo e ribadiamo il contenuto del nastro ultimo, per quanto concerne l’operazione di controparte della cittadina vaticana Orlandi Emanuela, il conclusivo documento è quello del 21 luglio 1983 e la sua convalida del 22 luglio 1983 ore diciassette con l’agenzia Ansa.

Considerando l’operazione di controparte della cittadina Orlandi Emanuela a tutti gli effetti chiusa come preannunciato nella programmazione dei comunicati. Accludiamo per accreditare rinnovata veridicità una fotocopia riproducente effetto appartenuto alla cittadina vaticana Orlandi Emanuela e i suoi testi telegrafici redatti nel corso di settembre 1983”.

La busta a Castel Gandolfo

Nel furgone della troupe vengono trovate due pagine. Il messaggio lascia intendere che hanno un diario dettagliato di tutte le fasi perché indicano anche gli orari. Ribadiscono che il nastro del 14 luglio è stato prelevato da funzionari vaticano e ci sono altre pesanti accuse. Ipotizzano che i messaggi del gruppo Turkesh del 4, 8 e 13 agosto siano stati spediti proprio da funzionari vaticani per depistare.

È la prima vera udienza del Papa, con misure di sicurezza eccezionali. Come riesce a superare tutti i controlli un membro di questo sedicente gruppo di sequestratori?

“Ravvisiamo l’impressione che la diplomazia vaticana, abbia perseguito nella opera di distorsione informativa il 25-7-1983, con la apertura di un canale tendenzioso e la diffusione di notizie di contatti a noi estranei e devianti (presunte richieste di prove documentali del 22-7-1983, ore 20.30). Altresì risulta improbabile il considerare si possa concedere credibilità nella mancanza di una veridicità sempre accordata.

Consuetudine storica della diplomazia vaticana l’influenzare o l’omettere il rapporto di verità informativa nei confronti della pubblica opinione, se non nei confronti degli stessi organi di investigativa  e magistratura italiana, come verificatosi il 5/7/1983, nel non relazionare ( da primo comunicato alla segreteria vaticana del 5/7/1983) la posizione logica di nostri due elementi nel lasso di tempo anteriore dell’appello papale del 3/7/1983; delucidazioni necessarie ai fini della convalida da parte della segreteria vaticana all’inoltro della richiesta nostra di scarcerazione.

Riscontrando tale consuetudine nel sottovalutato episodio della sottrazione del nastro del 14/7/1983 ed, inoltre, ipotizziamo nell’avanzare ai familiari il suggerimento di non riconoscimento del nastro del 17/7/1983 adducendo motivi di impercettibilità e frammentarietà (frammentarietà dovuta per altro alla necessità di annullare le voci circostanti).

Nastro che sottoposto ad un maggior numero di ascoltatori conosciuti dalla cittadina Orlandi Emanuela e non vincolati in rapporti socio-economici allo stato del vaticano sortirà il giusto risalto di attendibilità; questo è il modus operandi della diplomazia di oltre Tevere che certo non muta nei rapporti di ben altro raggio politico; e risultava utopica l’aspettativa di una vera considerazione in una operazione di controparte com- – – – -ortante un semplice suddito ed uno strumento di propaganda; tale detenuto Mehmet Ali Agca è stato trasformato.

Per quanto concerne le missive alla Agenzia Ansa milanese di porgiamo domanda se non trattasi egualmente di opera dei funzionari vaticani ed italiani al fine della ricerca di un novello contatto o reiterato discredito (tesi avallata dalla presenza di dettagli documentali validamente ritenuti e della cospicua particolare verità per quanto concerne la esistenza trascorsa di una diversità di vedute e tendenze in seno al nostro ambito e precedentemente posta alla sola conoscenza dei familiari della cittadina vaticana Orlandi Emanuela e del segretario di stato vaticano, Cardinale Agostino Casaroli.

Opinione suffragata dalla intenzione delle missive; inusuale scelta comportamentale dell’elemento estraneo, data la disponibilità continua dei mass-media italiani. Contrariamente prendiamo atto dello sbeffeggiamento arrecato ai terribili inquirenti da elemento estraneo, semplice possessore di dettagli inerenti ai trascorsi della cittadina vaticana Orlandi Emanuela; non si è o non si è voluto prendere in considerazione la prassi nostra di veridicità immediata (rivelata in comunicato del 8/7/1983) e tradizionalmente espressa con riconosciuto portavoce.”

Qualcosa non torna

La Squadra Mobile della Polizia di Stato ritiene che qualcosa non vada.

Le scritte degli indirizzi delle compagne di scuola sono sicuramente fatte dalla mano di Emanuela. Il problema è che sono scritti su fogli a righe che poi sono stati apposti sullo spartito e fotocopiati. I nomi presenti sullo spartito sono anche le stesse persone che vengono chiamate nel corso del sequestro.

Sul fatto dei sassolini, l’ipotesi proviene dall’avvocato Egidio.

“I sassi sono stati trovati a Porta Angelica. Uno significa Unità. Due la perfezione. Tre la Trinità. Quattro, se riferito alle ultime quattro stazioni della via crucis, potrebbe indicare qualcosa di serio… Cioè il completamento della via crucis. E’ un uomo molto abile. Un cervello sottile. Un uomo a conoscenza di questioni giuridiche e, anche, di questioni ecclesiastiche”.

5 settembre 1983

A casa dei Gregori arriva una lettera che chiede di adoperarsi per un possibile appello pubblico da parte del Presidente della Repubblica, Pertini Sandro.

La polizia scientifica stabilisce che la scrittura della lettera e quella del furgone RAI siano presumibilmente state scritte dalla stessa persona.

6 settembre 1983

Ercole Orlandi legge un appello dall’interno dello studio dell’avvocato Egidio. Emanuela non è una parentesi ma un tutto, se è viva provatelo, altrimenti diteci dove possiamo trovare il suo corpo.

L’Amerikano telefona nel pomeriggio all’ANSA di Roma. “Nelle vicinanze della basilica di Santa Francesca Romana il pontefice celebrava con la ragione di stato la via crucis conducendoci alla scelta dell’inerente complesso e opportuno ambito per il contatto nostro del 20 luglio ore dieci e trenta […]  Attenzione, posso dire solo che la scelta della basilica è inerente alla scadenza.”

Poco dopo le 20 sempre l’Amerikano chiama e detta un lungo comunicato ma il giornalista ne segna solo alcuni passaggi.

“Nell’attuale situazione i messaggi dei rapitori non sono indirizzati verso l’opinione pubblica ma a eminenti personaggi pubblici all’interno del Vaticano […] Le ricerche che proseguono nella zona della basilica di Santa Francesca Romana sono inutili, Emanuela non è lì. Il nome della basilica è un’indicazione cifrata per le autorità vaticane. C’è chi lo capisce […] Il papa ha avuto un atteggiamento negativo […] Emanuela non so dov’è, non ho la responsabilità e non sono autorizzato a parlarne, ma ripeto, tutti questi messaggi sono in codice e, in ogni caso, l’operazione Agca è chiusa”.

8 settembre 1983

Uno sconosciuto chiama a casa di Gabriella Giordani ma risponde il fratello. Uno sconosciuto, dopo aver detto Emanuela, riattacca bruscamente.

Verso le 15,30 a casa Gregori arriva una lettera del Fronte di liberazione Turkesh dove si chiede di sollecitare un pubblico intervento del presidente della Repubblica Sandro Pertini. La grafia era simile a quella del manoscritto trovato nel furgone della Rai a Castelgandolfo. Si tratta del primo contatto che i presunti rapitori di Mirella stabiliscono con la famiglia a far data dal 7/5/1983, giorno della scomparsa.

La circostanza è di grande valenza probatoria e interpretativa, e sarà in seguito ampiamente sviluppata, ma deve essere sottolineata la singolarità di un sequestro, quello di Mirella appunto tenuto silente per oltre tre mesi e poi clamorosamente collegato alla vicenda Orlandi fino a quel momento assolutamente autonoma.

12 settembre 1983

Al bar dei Gregori, sito in via Volturno, squilla il telefono. Risponde Maria Antonietta, la sorella maggiore di Mirella. L’interlocutore è l’Amerikano e dichiara di appartenere allo stesso gruppo che ha rapito Emanuela. Sollecita la famiglia ad ottenere l’intervento del Presidente Pertini. Dice alla sorella di mantenere il massimo riserbo. L’Amerikano sicuramente li sta guardando mentre è al telefono perché vede il fidanzato di Maria Antonietta avvicinarsi alla cornetta e dice: “Fate finta di niente. Appena attaccherò tornate ai vostri posti, lei alla cassa e il suo fidanzato dietro il banco e fate finta di niente”.

20 settembre 1983

Il nucleo di Regionale di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Venezia invia una informativa che viene recapitata alla Procura della Repubblica di Roma, con la quale comunica che: “fonte informativa di nazionalità turca sarebbe a conoscenza di elementi efferenti al noto caso Orlandi. In particolare, precisa che:

  1. la giovane Emanuela Orlandi sarebbe stata rapita su ordine del noto trafficante di armi e droga Bekir Celenk;
  2. che il giovane Celenk avrebbe commissionato il rapimento a tale Saral Atalay, cittadino turco suo braccio destro operante in Germania (Monaco di Baviera);
  3. che l’Atalay avrebbe organizzato ed eseguito il rapimento utilizzando “manovalanza italiana”;
  4. che il rapimento della ragazza non avrebbe scopo di lucro ma soltanto quello di indurre il Governo italiano a rilasciare il noto attentatore del Papa.

22 settembre 1983

Alle 13:30 circa arriva il comunicato numero 4 del fronte Turkesh. Sono quattro fogli dattiloscritti in una busta gialla affrancata con un francobollo da 400 lire.

“Chi vi parla è Alì Tucum Antonov Aleksej Ulusu. A morte Kenan Evren. Siamo del solito Turkesh. Non credete all’ultima comunicazione non scritta; un errore grande è stato di pubblicare sui giornali la cartina e di non dare troppo credito alle cose e alle informazioni di cui siamo in possesso. Comunque tutto non è perso. A questo foglio daremo quattro allegati che non devono per nessuna ragione essere rivelati alla stampa; se i dati contenuti in essi risulteranno veri dovrete fare una cosa: dire che sono esatti senza citare però i dati.

La zona si è spostata probabilmente in Umbria, ma noi abbiamo contatti con la ragazza. Siamo in cinque. Due di noi sono del Turkesh tra cui chi vi parla. Io sono il capo di questa organizzazione, uscito dalla Turchia il 12 settembre 1980, assieme a una persona. In Italia trovai altri membri contro Kenan Evren, e mi associai a loro senza far capire il mio vero ruolo; anch’io ho una ragazza in Turchia – 21 anni – e sono disposto a tutto che Emanuela sia liberata, dovete solo pubblicare questa facciata del Komunicato 4 e non gli allegati tranne che se risultassero veritieri comunicate la loro veridicità e la loro origine sostanziale, senza però rivelare, a parte il primo allegato, quello che comprendono”.

La cartina citata nel comunicato è un ritaglio che riproduce una parte dell’Italia centrale, inserito nella busta arrivata all’Ansa il 13 agosto. Elenca poi una serie di 20 particolari “1) leccava molto i gelati. 2) una crisi isterica all’età di nove anni. 4) riferimento alla ragazza con i capelli neri e ricci che sembrava sua amica. 5) manca una malattia di quelle infantili. 10) A 11 anni incontrò un ragazzo biodo che le piaceva ma le passò subito. 11) una volta vomitò aranciata. 12) una volta respinse delle uova. 15) ha avuto un regalo a 8 anni. 20) Anche il tè non gli andava.”

Dopo poche ore, alla redazione de Il Tempo arriva una telefonata anonima che segnala la presenza di una busta nel confessionale della basilica Santa Maria degli Angeli e dei Martiri in Piazza della Repubblica. Il giornalista trova una busta bianca, non sigillata, contenente un foglio firmato con la sigla Phoenix.

“Atto I. Date comunicazione immediata di quanto segue: tramite nostri operatori abbiamo individuato cinque componenti tra cui P. e M. Uno di loro ha commesso lo sbaglio di vantarsi di aver preso parte al prelevamento che è stato molto semplice e rapido con l’uso di una persona amica. Il secondo atto –“farsa turca”- non si collega direttamente al primo : il “prelevamento” della minore Emanuela Orlandi è stato attuato per altri fini.

Nel gruppo esiste una persona pentita e una donna (nastro 17-7-83). Sono persone appartenenti al quinto grado dei valori umani che, per motivi legati al fine, non hanno da tempo la disponibilità della giovane. Non siamo disposti a darvi ulteriori particolari per comprensibili motivi logistici. Gli elementi devono contattare il loro “conduttore” al fine di poter dare piena soddisfazione alla richiesta del 6-9-83 di mr Ercole Orlandi (nda dire se Emanuela è viva e se è morta, dove è sepolta). Nella eventualità di una mancata e irregolare obbedienza di quanto è stato chiesto sarà eseguita la sentenza.”

Nella busta c’è una cartuccia inesplosa per una 357 Magnum. Dentro c’è un’opera biografica di monsignor Antonio Mistrorigo, presidente dell’Associazione Italiana Santa Cecilia. L’opera si intitola “Il nuovo messale festivo in latino”. L’associazione ha gli uffici situati nello stesso palazzo della scuola di musica di Emanuela. C’è anche una versione quotidiana edita dal monaco benedettino Baronti. In uno dei due messali, sul frontespizio interno, c’è una scritta a matita – Ricevuto dal sacerdote Ponzo Giovanni 11.3.1946.

23 settembre 1983

L’Amerikano telefona all’avvocato Egidio.

“Il Vaticano sa chi chi erano Pier… Pierluigi e Mario. Erano persone che non sono neanche it… italiane.» Certo, come no? C’è Mario che parla come il peggior coatto di borgata – o che lui era amerikano solo di nome: «Io sono un italiano… ehm… che che fa… accento inglese mettiamo così”.

24 settembre 1983

L’Amerikano telefona di nuovo all’avvocato Egidio.

Il Presidente Pertini riceve una lettera priva di sigle. La lettera vuole metterlo al corrente dei messaggi del 21 luglio spediti dalla Germania.

Lo stesso sconosciuto che ha telefonato al bar dei Gregori il 12 settembre, telefona di nuovo al bar verso le 9:25 e parla con Filippo, il fidanzato di Maria Antonietta Gregori, la sorella maggiore. Gli dice di prendere nota di quello che dice: “maglieria Antonia, Redim, jeans con cintura, maglietta intima di lana, scarpe con tacco di colore nero lucido, marca Saraian di Roma”. Dice anche: “Fai vedere alla mamma di Mirella quello che hai scritto. Lei capirà”. La madre conferma con certezza che quelli sono i dettagli dei vestiti di Mirella del giorno della scomparsa. Questi dettagli li conosceva anche Sonia De Vito, la migliore amica di Mirella. Il telefono del bar finalmente viene messo sotto controllo.

Poco prima delle 17, un anonimo chiama la redazione del TG1 e del TG2 e fa ritrovare un documento presso la chiesa di San Roberto Bellarmino, in piazza Ungheria. Ci sono cinque impronte parziali, una sul fronte e quattro sul retro.

«In seguito ad un nostro personale interessamento legato esclusivamente al rispetto di una giovane vita, è stato deciso in data odierna di porre termine, con i mezzi a nostra disposizione, a questa “bravata” farsa turca codice 158 che sta insozzando l’Italia oltre confine.

Contrariamente ai nostri usi, ci siamo avvalsi dei mezzi di informazione per dare pubblicamente un chiaro avvertimento. Da comunicare attraverso i canali di informazione: in via eccezionale è concessa agli elementi implicati nel prelevamento di Emanuela Orlandi la scelta della propria sorte, se risponderanno esattamente alla richiesta del 6-9-83, nella eventualità di una mancata o irregolare obbedienza di quanto loro chiesto, la sentenza sarà irrevocabile.

Roma+++++Milano, “Pierluigi” è assai pericoloso stare in quella trattoria con le spalle verso la porta perché ci sono troppe “correnti d’aria”: un nostro vecchio “amico” ha fatto una brutta fine davanti ad un piatto di spaghetti, vogliamo generosamente ricordare a Mario che nella pineta c’è tanto posto per aumentare la vegetazione. La persona amica che ha tradito può assolvere le proprie colpe perché è meglio una confessione oggi che la morte domani, a tutti gli elementi implicati giova ricordare che sono ovunque raggiungibili. Order N.Y. A.D.C.».

Alle 17:15 una telefonata segnala all’ANSA di Roma un altro comunicato in un confessionale della chiesa in piazza della Repubblica ma è solo una copia di quello dato al TG1 e al TG2. Nel documento, Phoenix torna a minacciare P e M, dicendo che uno dei due “ha commesso lo sbaglio di vantarsi di aver preso parte al prelevamento che è stato molto semplice e rapido con l’uso di una persona amica”. L’autore del messaggio fa sapere anche che la “farsa turca” non si collega direttamente alla prima parte della vicenda e che il rapimento di Emanuela è stato fatto per altri fini. Poi, di nuovo, Phoenix consiglia a Pierluigi e Mario di mettersi in contatto con il loro “conduttore”. Nel documento si parla anche di una persona “pentita” e di una donna che farebbe parte del gruppo dei rapitori.

27 settembre 1983

Richard Roth riceve una lettera spedita da Boston il 22 settembre. Parla del materiale posto a conoscenza del Presidente della Repubblica e di un episodio tecnico che rimorde la coscienza. La perizia grafica stabilisce che il messaggio è stato scritto dalla stessa persona che ha scritto il messaggio trovato nel furgone della RAI a Castel Gandolfo il 4 settembre. Entrambi questi comunicati lasciano intendere che Emanuela è morta.

La busta recapitata contiene un bigliettino con un codice “795 RNL”. I rapitori chiedono la liberazione di Agca, Celebi e Bagci.

“Preannunciamo una cospicua dimostrazione di nostra coerenza al reale desiderio delle richieste avanzate di scarcerazione e consegna dei detenuti Agca Alì Mehmet, Celebi Musar Sedar, Bagci Omer e di fattibilità nei confronti del perseguimento materiale precedentemente posto alla conoscenza del presidente della Repubblica italiana Pertini Sandro; la resa pubblica di un episodio tecnico che rimorde la coscienza nostra, un atto reso indispensabile e determinato dalla inerzia dei responsabili funzionari nei confronti della considerazione della nostra richiesta”.

Joe Marrazzo, giornalista del TG2, riceve una lettera del gruppo Phoenix.

Phoenix, 19 settembre ’83 – in seguito ad un nostro personale interessamento, legato esclusivamente al rispetto di una giovane vita, è stato deciso in data odierna di porre termine a questa “bravata” farsa turca codice 158 durata troppo tempo e che sta insozzando l’Italia oltre confine. Contrariamente ai nostri usi ci siamo avvalsi dei mezzi di informazione per dare pubblicamente un chiaro avvertimento … in via eccezionale è concessa agli elementi implicati nel prelevamento di Emanuela Orlandi la scelta della propria sorte, se risponderanno esattamente alla richiesta del 6 settembre 1983. Nella eventualità di una mancata, o irregolare obbedienza di quanto loro chiesto, la “sentenza” sarà irrevocabile.

Roma +++++  Milano.”Pierluigi” è assai pericoloso stare in quella trattoria con le spalle verso la porta perché ci sono troppe “correnti d’aria”: un nostro vecchio “amico” ha fatto una brutta fine davanti a un piatto di spaghetti. Vogliamo generosamente ricordare a “Mario” che nella pineta c’è tanto posto per aumentare la vegetazione. La persona amica che ha “tradito” può assolvere le proprie colpe perché è meglio una confessione oggi che la morte domani. A tutti gli elementi implicati giova ricordare che sono ovunque raggiungibili. Order NY. ADC. 

Un anonimo chiama al bar dei Gregori verso le 18:15 per sollecitare l’intervento di Pertini. La polizia intercetta subito la telefonata che proviene da una cabina telefonica sulla circonvallazione Cornelia. All’arrivo degli agenti il telefonista non c’è e un agente dice di aver visto un uomo allontanarsi in fretta con un cappello in testa.

“Fino a quando non esiste un appello pubblico, noi non possiamo dire niente su questa questione”.

Una triste speranza

Pietro Orlandi ha affermato di ricordare che verso fine settembre, Giulio Gangi si presentò a casa Orlandi dicendo che entro “10-15 giorni” Emanuela sarebbe tornata. Diceva di essere sicuro, che a riportarla sarebbero stati gli uomini del Sisde e aggiunge che Emanuela era molto provata. Gangi avrebbe detto che Emanuela era il caso di portarla lontana dal Vaticano e dai giornalisti dopo il ritorno.

«Emanuela non tornò», scrive Pietro Orlandi. «Riuscimmo a parlarci solo dopo alcuni mesi e Gangi, con noncuranza, si limitò a dirci che era andato tutto all’aria».

7 ottobre 1983

Al bar dei Gregori arriva una telefonata per sollecitare l’intervento di Pertini.

8 ottobre 1983

Alla redazione del Corriere della Sera verso le 17 arriva una telefonata che avvisa di una lettera nascosta nel vecchio confessionale della chiesa di San Silvestro, nell’omonima piazza romana. La lettera che ha come mittente il gruppo Phoenix, oltre a minacciare apertamente i responsabili del sequestro sostiene che: “È cosa nostra porre termine alla situazione Orlandi”.

L’Amerikano telefona all’avvocato Egidio alle 20:17 da un’utenza riservata di Piazza Vittorio. Dice che senza un appello del Presidente della Repubblica non si può parlare pubblicamente del caso di Mirella e ne sollecita un intervento. Continua con: “[…] in questi giorni passati abbiamo avuto delle vittime già sul territorio italiano, dica quindi a Casaroli di farsi trovare al telefono lunedì, io martedì ho chiamato lui e lui che ha una colpa molto grave non si è fatto trovare al telefono e mercoledì noi abbiamo colpito una nuova persona per la sua colpa e per fatto che non si è fatto trovare al telefono, ecco dica questo […] noi vogliamo una ammissione di una sua colpa […].”

12 ottobre 1983

All’ANSA di Milano arriva una lettera dattiloscritta in lingua slava spedita da Titograd e recante come mittente un certo Lakic Radivoye Mario Misel. Chiede 300.000 dollari in cambio della liberazione di Emanuela. Si scopre che è solo un mitomane non nel pieno delle facoltà mentali.

Alle 18:10 l’Amerikano telefona all’avvocato Egidio e insiste sull’intervento di Pertini e di far ammettere le colpe a Casaroli.

13 ottobre 1983

Il Presidente Pertini incontra la mamma di Mirella ed esprime il desiderio di voler incontrare il loro legale, l’avvocato Egidio.

Un sedicente rappresentante del consiglio di Phoenix chiama l’avvocato Egidio alle 18:35. Fa riferimento all’omicidio id Franco Imposimato e riferisce che il proiettile fatto trovare il 22 settembre è “per coincidenza dello stesso calibro che ha ammazzato il povero signor Imposimato”.

Alla redazione di Milano de La Repubblica arriva una lettera dall’ufficio postale di Paterno di Lucania (PZ) con scritto in stampatello “Emanuela Orlandi è prigioniera dei servizi segreti bulgari questa è una sua carceriera possiamo trattare per la liberazione solo con V.V.”. Sotto il messaggio c’è incollata con o scotch una fotocopia di una carta di identità tedesca. La polizia tedesca comunica che era un fac-simile pubblicato sui giornali per mostrare come erano i nuovi documenti di identità.

14 ottobre 1983

Al bar dei Gregori arriva un’altra telefonata di sollecito per il messaggio di Pertini. Il Presidente prende accordi per un appello con l’avvocato Egidio e lo prega di scrivere lui il testo.

17 ottobre 1983

L’avvocato Egidio viene convocato al Quirinale. il segretario generale Antonio Maccanico lo informa che Pertini non vuole più fare l’appello per i due rapimenti.

Alle 14 circa all’ANSA di Milano arriva una lettera espresso proveniente da Bari. Si tratta di uno scritto di 33 righe con intestazione PER SEMPRE TURKESH!!. È firmato Dragan. Scrive che Aliz ha ucciso Emanuela e che lui era in procinto per partire con Mirella per associarsi a “UHRUSH”.

“Emanuela era brava ragazza, noi la volevamo salvare, ma voi siete stati cattivi, lei non meritava… Suo corpo forse non lo trovate più, ma è Aliz che è stato orrendo, lui non può essere un turkesh, noi turkesh non uccidiamo… Scritto per Emanuela: io la amavo sua dolce voce. […] Perché non interrogate giocatore di Lazio Spinozzi?”. Nell’intestazione c’è anche il nome dell’allenatore Sergio Guenza seguito dalla parola morte. il calciatore Arcadio Spinozzi è stato citato anche in una telefonata ricevuta dall’avvocato Egidio il 7 settembre 1983. “Emanuela è in viaggio verso Parigi, interrogate Spinozzi, lui sa”.

L’Amerikano telefona all’avvocato Egidio alle 18:15 da una cabina telefonica di via Gregorio VII per chiedere l’appello di Pertini entro sei giorni. Dice che sa delle telefonate fatte al cardinale Casaroli l’8 ed il 12 ottobre. Verso le 20:40 richiama per dire che Phoenix è un gruppo creato dagli inquirenti.

20 ottobre 1983

L’avvocato Egidio viene convocato di nuovo dal Segretario Generale che gli comunica che il Presidente farà l’appello per le due ragazze,

Il Presidente Pertini durante un’intervista sulla criminalità organizzata invita i sequestratori a rilasciare Mirella ed Emanuela.

“Di fronte all’angosciata richiesta delle famiglie e in particolare della famiglia Gregori, rivolgo l’invito ai rapitori di rilasciare immediatamente queste giovani ragazze e formulo l’auspicio che un raggio di pietà illumini il loro animo.”

L’Amerikano chiama lo studio dell’avvocato Egidio e lo informa della presenza di un messaggio in un bar in via della Conciliazione. Nel locale c’è un plico spedito dall’Amerikano e ricevuto dal Presidente Pertini con un testo dattiloscritto tenuto riservato dal 26 settembre.

In serata arrivano tre telefonate all’agenzia di stampa americana UPI sita in via della Dataria.

  1. Il 28 settembre “si è delineato il ruolo fittizio creato sopra il detenuto da noi richiesto, ruolo creato da quanti hanno avuto e hanno interesse in certi indirizzi politici nel consequenziale suo trattamento a discapito dell’incolumità dei liberi cittadini”.
  2. “Lunedì 24 ottobre 1983 comunicheremo alla CBS il nome della cittadina sequestrata qui nella capitale, a Richard Roth”.
  3. La terza telefonata permette di ritrovare un messaggio sotto il porticato di Piazza della Repubblica, dietro la balaustra antistante la società delle linee aeree turche. Per terra c’è una busta arancione di tipo commerciale che custodiva un manoscritto a matita: “Le autorità italiane hanno inteso non rivelare agli organi di stampa la lettera posta alla conoscenza del Presidente della Repubblica e inviata il 20 settembre 83”.

21 ottobre 1983

L’Amerikano telefona all’avvocato Egidio ed indica i luoghi dove poter trovare due comunicati. Uno si trova in uno stabile di via della Conciliazione presso l’ambasciata Canadese e l’altro in un furgone postale di Piazza S.Pietro. Si tratta di un messaggio scritto a mano che riguarda Emanuela Orlandi.

“Accreditiamo la nostra appartenenza, per quanto riguarda esclusivamente la natura epistolare (visto precedenti generati dalle opere pseudo-tattiche della magistratura italiana), ai contatti indirizzati a Roth Richard e recanti codice che provvederemo a depositare presso il sopra indicato unico nominativo autorizzato.”

Quello del furgone postale invece è un’audiocassetta nella quale si sente la voce di una donna dall’accento straniero e informa che è stata sequestrata un’altra ragazza ma che il suo nome sarà rivelato il 24 ottobre.

Nel corso della comunicazione, l’Amerikano allude al sequestro di due minorenni statunitensi che, stando alle sue parole, sarebbe avvenuto nel maggio precedente, e al rapimento di una cittadina italiana, avvenuto nello stesso mese. Annuncia quindi che il nome dell’italiana sarà reso pubblico dopo tre giorni (il 24 ottobre) e anticipa la soppressione di una giovane cittadina italiana in conseguenza della pubblicazione del messaggio del 22 settembre, quello firmato Phoenix. La questura di Roma è sicura che siano messaggi in codice rivolti a chi deve capire.

23 ottobre 1983

Verso le 23,30 l’Amerikano chiama l’agenzia UPI e rivela di aver dettato un messaggio ad un certo numero di telefono, il quale sarà identificato come un omonimo di Richard Roth. L’uomo consegna il foglio sul quale ha trascritto il testo che allude, tra l’altro, al rapimento e alla soppressione di Mirella Gregori.

“Nel corso del mese 5-1983 sono state costrette a trattenimento due cittadine di età minore di nazionalità statunitense e una cittadina di età minore di cittadinanza italiana. Della cittadina di nazionalità italiana trattenuta renderemo pubbliche le generalità il 24 ottobre 1983, delle cittadine di nazionalità statunitensi nel corso del cinque 1984, data di cominciamento del secondo periodo e nuovo territorio per l’espletamento della nostra richiesta.

La cittadina italiana veniva prescelta in un e per un particolare ambito che riveleremo con le generalità il 24 ottobre 1983. Le cittadine degli States esclusivamente per la loro nazionalità statunitense. Nei prossimi giorni troverà soppressione una giovane persona di cittadinanza italiana per la pubblicazione e considerazione del 22 settembre 1983 dopo la nostra chiarificatrice.”

24 ottobre 1983

L’avvocato Egidio chiede il silenzio stampa il 23 ottobre ma in tutta risposta viene contattato dall’Amerikano alle ore 18:15. Quest’ultimo smentisce il rapimento di una terza ragazza, l’allusione era per Mirella.

Alle 18:30 l’Amerikano chiama Richard Roth per comunicare che l’organizzazione avrebbe rapito due ragazze ma negli Stati Uniti e che i loro nomi verranno rivelati solo nel maggio del 1984. Dice che Mirella è stata scelta come vittima durante un incontro in Vaticano. Annuncia che la lotta proseguirà in territorio americano.

26 ottobre 1983

Verso le 15:30 un collaboratore del SISDE assiste alla conversazione tra Sonia De Vito e un’amica. Sonia sembra preoccupata e riferisce:

  • …. certo…., lui ci conosceva, contrariamente a noi che non lo conoscevamo…. quindi poteva fare quello che voleva….
  • …. come ha preso Mirella poteva prendere anche me, visto che andavamo insieme….

27 ottobre 1983

Richard Roth riceve un’altra lettera da Boston in cui si dice che Mirella è stata rapita nel piazzale di Porta Pia, poco distante da casa. Nello stesso mese sarebbero state rapite anche le due cittadine americane. Ricompare la sigla 795 RNL.

L’Amerikano telefona all’avvocato Egidio e avvisa che per Mirella non ci sono speranze. Dice che inizieranno a restituire il corpo di Mirella e di prepararsi ad una nuova fase delle trattative.

29 ottobre 1983

Gianni Crea termina il film Liberate Emanuela. Il film è stato creato grazie ai finanziamenti di un turco. È un rimontaggio del regista turco Kunt Tulgar. Gianni e Kunt ebbero una discussione quindi Gianni prese le sue riprese e contattò Ombretta Piccioli per il ruolo di Emanuela nel film in versione italiana. Il film viene proiettato durante la manifestazione de Anteprima per il Cinema Indipendente Italiano di Bellaria (oggi Bellaria Film Festival) uno dei primi festival italiani dedicati al cinema indipendente.

Il film, visionato dall’avvocato Egidio, dalla Digos e dallo zio di Emanuela, Meneguzzi, venne sequestrato e successivamente, a detta del regista, tre-quattro anni dopo, dissequestrato e distribuito nelle sale cinematografiche Turche. Sul Corriere della Sera del 4 maggio 1984 si parla del furto, negli uffici della Gaumont di una copia in videocassetta del film. Dopo la morte di Crea, pare che la moglie, per evitare problemi, abbia gettato nella spazzatura l’unico master superstite. 

13 novembre 1983

Il gruppo Phoenix fa trovare l’ultimo comunicato, allegato ad esso la tessera scolastica con la foto di Emanuela e la ricevuta di versamento, entrambi già fatti ritrovare il 6/7/83. Questi documenti, finiti agli atti dell’inchiesta, potevano averli o i rapitori o la polizia. Nel messaggio si annuncia che i rapitori di Emanuela saranno puniti, la modalità verrà scelta dalla famiglia Orlandi. Si parla di un “pentito” all’interno dei rapitori che avrebbe divulgato informazioni sull’organizzazione. Si rivolgono ai rapitori dicendo che «i contatti ‘diplomatici’ non vi serviranno, siete raggiungibili ovunque. L’ambasciatore che porta pena è responsabile».

Profilo dell’Amerikano fatto dal SISDE

Allo scopo di far emergere nuovi elementi, da confermare attraverso un successivo lavoro informativo, sui presunti rapitori di Emanuela Orlandi, si è provveduto a riesaminare globalmente tutti i messaggi, pervenuti tra il 5 luglio e il 24 ottobre 1983, relativi al caso. Dal 5 luglio 1983 il servizio è venuto in possesso di 34 messaggi relativi alla scomparsa della Orlandi (tale numero è stato ottenuto sommando le comunicazioni telefoniche, quelle pervenute per mezzo postale e i messaggi pervenuti).

Il 18% circa (numero reale sei) di tali comunicazioni è stato prodotto quasi sicuramente da mitomani inseritisi nella vicenda;

Il 12% (quattro) è di difficile attribuzione. La maggior parte degli elementi, infatti, sembra far escludere la possibilità che gli anonimi interlocutori o estensori siano in contatto con la presunta organizzazione di sequestratori ma alcuni fattori lasciano inalterati i dubbi sull’attribuzione;

Otto comunicati (23 percento) sono stati firmati da due sedicenti gruppi (il Fronte anticristiano Turkesh e Phoenix) che, allo stato delle indagini, non sembrano essere implicati nella scomparsa della ragazza, ma soltanto nella gestione del caso. Numerosi elementi contenuti nei quattro comunicati del Turkesh e negli altrettanti del Phoenix, infatti, portano ad acclarare l’ipotesi che gli estensori siano a conoscenza di fatti inerenti a Emanuela Orlandi o relativi alla sua vicenda, sconosciuti sia agli organi di stampa che agli stessi presunti rapitori.

I restanti messaggi (sedici) provengono con molta probabilità dal gruppo che ha operato e gestito direttamente il sequestro, oppure che è riuscito a mettersi in contatto con i veri responsabili della scomparsa di Emanuela Orlandi. A livello analitico e operativo, questi ultimi sedici messaggi possono, quindi essere considerati quale materiale da utilizzare. Occorre rilevare che il numero dei messaggi potrebbe rappresentare solo una parte delle comunicazioni, in quanto spesso si è avuta la sensazione che vi siano stati altri contatti (tra i familiari, l’avvocato e i presunti rapitori) di cui non si è a conoscenza.

Dal punto di vista temporale le comunicazioni dei presunti sequestratori si sono distribuite e differenziate nei seguenti quattro periodi.

Il primo periodo (che possiamo definire tra il 22 giugno e il 5 luglio) si caratterizza per l’assenza di qualsiasi tipo di rivendicazione di un presunto sequestro. Dopo che i familiari provvedono ad affiggere il famoso manifesto (30 giugno) e a divulgare appelli a mezzo stampa, si fanno vivi due personaggi (Pierluigi e Mario) che, telefonando a casa degli Orlandi, tentano di accreditare l’ipotesi di una fuga di Emanuela dall’ambiente familiare per motivi esistenziali (“una scappatella”).

Il secondo periodo dal 5 luglio al 22 luglio è caratterizzato dalla presenza di anonimi interlocutori che si dichiarano portavoci di una “organizzazione” che tenta, attraverso il sequestro della ragazza, di ottenere la scarcerazione di Agca. I destinatari dei messaggi, in questa fase, sono soprattutto lo Stato Vaticano, la famiglia Orlandi e i quotidiani romani.

I presunti sequestratori interrompono i contatti dal 22 luglio al 4 settembre (terzo periodo), giorno in cui viene fatto ritrovare il primo documento (manoscritto) redatto dal presunto portavoce dell’organizzazione.

Nell’ultimo periodo (il quarto) i messaggi sono pervenuti in gran parte attraverso le lettere spedite da Boston e mai attraverso nastri registrati. E hanno avuto come destinatari: Richard Roth, l’avvocato Egidio, il presidente della Repubblica italiana. L’analisi delle sedici comunicazioni, attribuite ai presunti rapitori della Orlandi, ha permesso di rilevare che quasi sicuramente esse sono state prodotte da una stessa mente (possiamo definirlo l’ipotetico “cervello” o Mister X del gruppo), anche perché gli autori delle telefonate non comunicano attraverso un proprio stile psicologico e linguistico, ma riportano quanto prodotto dalla sopracitata “mente”.

Verosimilmente il soggetto in esame è un profondo conoscitore della lingua latina, anzi possiamo affermare che Mister X conosce meglio la lingua latina che quella italiana. E ciò è solamente possibile nel caso che il soggetto sia uno straniero che in un primo momento ha acquisito l’idioma latino e, successivamente, quello italiano. Infatti, un italiano con profonda conoscenza del latino manterrebbe inalterato il suo background stilistico-linguistico (al limite ne verrebbe migliorato) e non si sognerebbe mai di utilizzare “traslare” al posto di “trasferire”, “novello” al posto di nuovo, “veridicità” al posto di vero eccetera…

Altri elementi che potrebbero meglio delineare la figura di Mister X sono emersi dall’analisi dei documenti in esame.

  • Il soggetto è abituato a mantenere contatti epistolari con personaggi di alto rango politico e culturale.
  • I suoi scritti sono privi di aggressività, animosità ansia ma, allo stesso tempo, sono ricchi di spunti ironici tramitati da un livello culturale e linguistico notevole (riferendosi agli inquirenti che hanno dato credito al Turkesh egli scrive: “Esimendoci dall’interferire in tanta distribuita demenzialità…”).
  • L’estensore è conoscitore sia di aspetti che di linguaggi giuridici.
  • Ha un’età superiore ai quarantacinque-cinquanta anni e tale dato emerge, oltre che dall’esame psicologico degli scritti, anche dall’esame grafico:esistono delle microscritture grafiche negli scritti di Mister X che solo una persona di età superiore a quella citata può redigere (lettera L maiuscola di foggia completamente desueta).

 Un possibile profilo del personaggio in esame può complessivamente tener conto dei seguenti tratti:

  • Straniero, verosimilmente di cultura anglosassone;
  • Livello intellettuale e culturale elevatissimo;
  • Conoscitore della lingua latina e, successivamente di quella italiana;
  • Appartenente (o inserito) nel mondo ecclesiale;
  • Formalista, ironico preciso e ordinato nelle sue modalità comportamentali, freddo, calcolatore, pieno di sé, sicuro del proprio ruolo e della propria forza, sessualmente amorfo;
  • Ha domiciliato a lungo a Roma. Conosce bene soprattutto le zone della città che rappresentano qualcosa per la sua attività;
  • Bene informato sulle regole giuridiche italiane e sulla struttura logistica del Vaticano.

Occorre infine tentare di fornire, alla luce di quanto sinora emerso, una nuova possibile interpretazione del ruolo di Pierluigi e Mario. Uno dei due (Pierluigi) rimase visibilmente sorpreso nel sapere che la famiglia Orlandi risiedeva in Vaticano. Nella prima rivendicazione del sequestro Orlandi, Mister X definisce i due come “elementi dell’organizzazione”. I due non sono più apparsi e il loro ruolo è sempre apparso contraddittorio con il resto della vicenda.

A questo punto le ipotesi interpretative sono possono essere tre:

Pierluigi e/o Mario sono gli unici che hanno effettivamente visto Emanuela nei giorni successivi alla sua scomparsa e, in un secondo tempo, sono stati contattati dagli emissari di Mister X;

L’organizzazione che ha sequestrato la ragazza aveva in precedenza assoldato i due e li aveva utilizzati per depistare le eventuali indagini iniziali;

Mister x non conosce i due, ma è venuto a sapere dell’esistenza delle due telefonate direttamente dai familiari di Emanuela o da persone a loro vicine.

Quest’ultima ipotesi appare la più sconcertante, specie se venisse acclarata da un riscontro informativo certo.

Rivelerà successivamente Francesco Bruno (funzionario della divisione tecnico-scientifica del SISDe dal 1978 al 1987) che il personaggio cui alludeva il SISDe nella relazione era Paul Casimir Marcinkus.

“Ricordo il rapporto e ne condividevo abbastanza il contenuto. Con la descrizione del possibile interlocutore si voleva individuare monsignor Marcinkus. Questa, almeno, era l’idea che si voleva trasmettere. Non so per quali motivi anche se, in quel momento, c’erano alcuni elementi che avrebbero potuto lasciare supporre un soggetto del genere. A quel tempo il papa voleva inserirsi in una serie di strategie internazionali, come finanziare il sindacato polacco Solidarnosc e l’Argentina contro l’Inghilterra, nella guerra per le isole Falkland, tra l’aprile e il giugno 1982.

Quindi aveva bisogno di ingenti somme di denaro, certamente superiori a quelle che erano state necessarie ai suoi predecessori. Esisteva perciò il problema delle finanze vaticane che ha portato a stringere i rapporti con Roberto Calvi, un banchiere bravo e capace, al pari di Michele Sindona. Ma non credo che i mandanti del rapimento Orlandi e dell’attentato al papa fossero gli stessi dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi.

Si tratta di due scenari differenti e di due fenomeni diversi che si sovrappongono e che, in qualche modo, finiscono per andare nella stessa direzione. In ogni caso ritengo che i servizi segreti, a cominciare da quelli italiani, siano entrati molto poco nella vicenda di Emanuela se non facendo qualche analisi per dovere d’ufficio. Perché la vicenda riguardava uno scontro esterno in cui l’Italia era solo il terreno sul quale si svolgeva. Credo che tutti abbiano preferito non metterci le mani. Starne fuori. Non hanno mai dato interpretazioni politiche sul caso Orlandi.”

28 novembre 1983

Da Boston vengono spedite due lettere indirizzate a Richard Roth. Lo stesso, rientrato in Italia dopo un lungo periodo di assenza, riesce a leggerle solo a gennaio dell’anno successivo.

Nella prima missiva si legge: “Comunicheremo esclusivamente alla persona del Segretario di Stato Vaticano il cardinale Agostino Casaroli il nominativo della cittadina soppressa il 5-10-1983 a causa della reprensibile condotta della segreteria vaticana. Nuovi abusi e irregolarità di comportamento potranno essere perseguiti con la soppressione di cittadini dello Stato italiano e dello Stato del Vaticano”.

Nella seconda: “Le comunità cattoliche di Boston e di Roma si adoperino al fine che i rispettivi governi non rendano inefficaci le soppressioni e si dia adito alla procedura di scarcerazione e consegna dei detenuti richiesti”.

6 dicembre 1983

A Richard Roth arriva una busta spedita dall’America con all’interno un nastro. Una voce femminile e con spiccato accento americano legge un comunicato:

“… IMMINENTE SCARCERAZIONE E CONSEGNA DI UN DETENUTO ASSOCIATO QUESTO CARCERE STATUNITENSE… TRATTATIVE CON FUNZIONARI STATUNITENSI… CI TROVIAMO A SOSPINGERE LA PROGRAMMAZIONE PER IL 1/5/84 RISERVANDOCI LA POSSIBILITA’ DI RESTAURARE UNA NUOVA DATA D’INIZIO E TRASFERIMENTO IN TERRITORIO STATUNITENSE DELLA NOSTRA VOLONTA’ DI SCARCERAZIONE E CONSEGNA DEI DETENUTI MEHMET ALI AGCA CELEBI BAGCI OMAR. COSCIENTI DEGLI INTERESSI E VOLONTA’ DEL GOVERNO STATUNITENSE E…. VATICANO DELL’USO PROPAGANDISTICO NEI CONFRONTI DI DETERMINATI STATI EUROPEI…. TRASFERIMENTO DEL DETENUTO MEHMET ALI AGCA…”

22 dicembre 1983

L’Amerikano telefona all’avvocato Egidio per informarlo che il 28 novembre 1983 sono stati spediti da Boston alcuni messaggi indirizzati a Richard Roth.

24 dicembre 1983

Papa Giovanni Paolo II si reca a trovare la famiglia Orlandi e dice loro che Emanuela è vittima del terrorismo internazionale.

25 aprile 1984

Il Papa fa l’ultimo appello per Emanuela Orlandi.

L’ANSA viene condannata per aver riportato il testo che cita Arcadio Spinozzi.

16 dicembre 1983

Marcinkus viene rimosso da direttore dello IOR, una delle tante mosse nella ridistribuzione di incarichi e ruoli.

2 gennaio 1984

Il giornalista Richard Roth rientra a Roma e legge le lettere spedite il 28 novembre e anticipate all’avvocato Egidio dall’Amerikano il 22 dicembre 1983.

I messaggi sono brevi, scritti a mano con una penna blu e la grafia è simile a quella degli altri comunicati. Nella prima lettera l’anonimo autore annuncia che il nome della cittadina soppressa (“a causa della reprensibile condotta della segreteria vaticana”) il 5 ottobre 1983 sarà rivelato esclusivamente al segretario di Stato Agostino Casaroli. Nella seconda ripete che “…si dia adito alla procedura di scarcerazione e consegna dei detenuti richiesti.”

26 aprile 1984

L’Amerikano chiama a casa di Gabriella Giordani. Risponde la madre. Lui riferisce che Emanuela sta bene.

25 maggio 1984

Alcuni rappresentanti dello IOR firmano un accordo in base al quale l’istituto bancario vaticano si impegna a versare ai liquidatori del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi 240,9 milioni di dollari (250 milioni di dollari è esattamente l’ammontare dell’indebitamento che lo IOR aveva, al momento del crack, con l’Ambrosiano.)

12 giugno 1984

Alla redazione del Messaggero e dell’Ansa arrivano due lettere da Francoforte, la stessa città dalla quale, il 21 luglio 1983 erano arrivate altre due lettere. Nelle missive viene scritto “Non avete liberato Alì Agca, Seder Celebi e gli altri suoi amici, per questo Emanuela non è tornata”. Inoltre, le lettere contengono gravi minacce contro la figlia e la nipote del giudice Ilario Martella.

26 giugno 1984

Z.P. è figli di un impiegato all’Ufficio permessi di Porta Sant’Anna. Riferisce di due incontri con uno sconosciuto. La prima volta a Piazza Porta Cavalleggeri: “ho notato avvicinarsi e parcheggiare poco distante a me una autovettura tipo BMW di colore nero, probabilmente modello 320. […] dall’autovettura è disceso un uomo […] vestiva elegantemente ed aveva un portamento particolarmente fine. Il predetto, dopo essere sceso dall’autovettura […] si è rivolto a me chiedendomi se ero disposta […] a partecipare ad un provino pubblicitario per la società Algida con un compenso di lire 300.000 per solamente 20 minuti di impegno. Il provino si sarebbe svolto immediatamente […] unitamente ad altre ragazze […] preciso che il 15 giugno […] sulla linea dell’autobus 98, ho incontrato lo stesso personaggio. Lungo il tragitto lo sconosciuto mi ha osservato con insistenza avvicinandosi talmente a me da risultarmi fastidioso”

Luglio 1984

La famiglia Gugel rivela che erano preoccupati per la figlia Raffaella, seguita più volte da uno sconosciuto e preoccupata. Lo stesso capitò con le figlie di Camillo Cibin. Queste furono sorvegliate ed evitavano rischi inutili. Peccato nessuno abbia avvisato anche gli Orlandi delle precauzioni prese da loro.

Le dichiarazioni di Ercole Orlandi in merito

“Verso agosto-settembre del 1982, prima della scomparsa di Emanuela, ho saputo da mia figlia Natalina che in quei giorni, una ragazza a nome Raffaella Gugel, pure abitante in Città del Vaticano, figlia di Angelo Gugel, aiutante di camera del Santo Padre, era impaurita e non voleva uscire in quanto si sentiva pedinata […]

Dopo che è scomparsa mia figlia Emanuela, mia sorella Anna Orlandi ha avuto conferma di quanto sopra, dalla stessa madre di Raffaella. La madre di Raffaella disse altresì a mia sorella che avevano riferito i fatti al Sovrastante della vigilanza Vaticana Camillo Cibin, il quale spesso mandava degli agenti dietro a Raffaella […]

Tengo a precisare che una sorella di Raffaella, a nome Flaviana credo, quest’ultima della stessa età di mia figlia Emanuela, somigliava molto a mia figlia qui citata […] e che spesso Emanuela e Raffaella uscivano assieme, molto più spesso che Raffaella e Flaviana […] preciso infine che a detta di molti, c’è molta rassomiglianza tra me e Angelo Gugel, tanto che, alcune persone a volte mi scambiano per lui”.

Le dichiarazioni della zia Anna Orlandi

“[…] la famiglia Gugel mi è sembrata molto preoccupata, [nda per i pedinamenti alla quale Raffaella era interessata] in quanto, dopo la scomparsa di Emanuela, hanno annullato il loro telefono diretto e Flaviana ha tagliato i capelli molto corti e tinti, da scuri a biondi; inoltre, sia Raffaella che Flaviana hanno sospeso le loro attività esterne […] desidero precisare che, prima che tagliasse i capelli, Flaviana aveva una certa rassomiglianza con Emanuela. Credo che tuttora, sia Raffaella che Flaviana, in particolar modo quest’ultima, vanno e tornano da scuola sempre assieme a qualcuno, o il genitore o qualche collega di quest’ultimo”.

Rapporto dei Carabinieri

  • Raffaella Gugel era amica ed assidua frequentatrice di Emanuela, tanto da accompagnarsi spesso con lei in molti luoghi pubblici;
  • La sorella di Raffaella Gugel, Flaviana, è molto somigliante ad Emanuela;
  • Angelo Gugel è molto somigliante ad Ercole Orlandi, padre di Emanuela, tanto da essere scambiato da molti con quest’ultimo;
  • Dopo la scomparsa di Emanuela, presso la famiglia Gugel, sono giunte telefonate “mute”.

Tale situazione […] lascia ragionevolmente supporre che gli eventuali rapitori di Emanuela Orlandi, nella fase preparatoria dell’atto criminoso, abbia avuto l’intenzione di “studiare le mosse” della famiglia Gugel (molto vicina al Santo Padre e quindi costituente un obiettivo remunerativo per richieste di ogni genere) ed in seguito abbiano ripiegato su Emanuela Orlandi per un mero errore, reso possibile dai punti sopra citati, o  per motivi sconosciuti.

Le dichiarazioni di Raffaella Gugel

“Dopo alcuni giorni che il Santo Padre fu attentato dal terrorista turco, mio padre mi disse di stare attenta per la strada, perché nella Città del Vaticano erano circolate delle voci di un possibile rapimento di un cittadino vaticano in cambio del terrorista turco Alì Agca. In quel periodo io andavo a scuola in corso Vittorio Emanuele II, Istituto Tecnico Commerciale Vincenzo Gioberti, e ogni mattina, alle ore 8,15 prendevo l’autobus 64 dal capolinea ubicato nella piazza quasi di fronte all’ingresso di Porta S. Anna. Alla fermata successiva al capolinea, saliva a bordo un uomo sui 28-30 anni con giacca e pantaloni (tipo sportivo), il quale prendeva posto a sedere e notavo che mi osservava ripetutamente.

Questo episodio si verificava quasi ogni mattina, preciso che nell’arco di una settimana succedeva tre giorni di fila e poi vi era una sosta di un giorno e successivamente gli altri due o tre giorni rincontravo questo uomo.

Fin dai primi “incontri” con questo uomo nell’autobus, riferii l’episodio a mio padre, ma non ho mai saputo se ne ha fatto parola con alcuno. Questi incontri con questo uomo durarono per circa due o tre settimane ma alla fine non lo vidi più. Posso riferire i dati somatici di questo uomo ma non sono in grado di farvi eseguire un identikit. Era alto un metro e ottanta con corporatura snella, carnagione scura, tipo nazionalità turca, capelli scuri ricci, con occhi scuri.

Per quanto riguarda i discorsi che ho sentito in Vaticano per la scomparsa di Emanuela Orlandi, posso dire che nel periodo in cui fu rapita Emanuela io non ero in Vaticano perché mi trovavo nel comune di Caorle (Venezia) in colonia in qualità di assistenza ai bambini che frequentavano la colonia che era gestita dalla Diocesi di Vittorio Veneto.

Dopo due mesi, ritornai in Vaticano e ogni persona che incontravo parlava della vicenda commentando il fatto a modo suo. […] Sono sicura di non aver visto mai quell’uomo quando ero in compagnia di Emanuela Orlandi. “

3 agosto 1984

Alla redazione dell’Agenzia Ansa di Mestre (Venezia) arriva il primo comunicato di una organizzazione sconosciuta agli inquirenti: NOMLAC (Nuova Organizzazione Musulmana per la Lotta Anticristiana). Il comunicato è scritto a mano su un foglio di carta da lettere.

“COMUNICATO 1 – AGOSTO 1984

EMANUELA ORLANDI NON E’ PRIGIONIERA DEL FRONTE DI LIBERAZIONE TURCO ANTICRISTIANO

EMANUELA ORLANDI SI TROVA IN EUROPA

CONDIZIONI DI RILASCIO

ALI’ AGCA DEVE ESSERE TRASFERITO NELLE CARCERI VATICANE

IL VATICANO DEVE TRATTARE CON UN PAESE ESTERO DOVE ALI’ AGCA PUO’ ESSERE MESSO AGLI ARRESTI DOMICILIARI

GROSSA SOMMA IN DENARO

IL PAPA DEVE DARE IL PROPRIO GIUDIZIO FAVOREVOLE

LO SCAMBIO DEVE AVVENIRE ENTRO IL 25 DICEMBRE OPPURE LA RAGAZZA SARA’ UCCISA CI SARANNO ANCHE ATTENTATI CONTRO IL VATICANO

ALI NOMLAC

NUOVA ORGANIZZAZIONE MUSULMANA PER LA LOTTA ANTICRISTIANA”

21 agosto 1984

Arriva il quinto comunicato Turkesh, spedito con lettera raccomandata alla sede di Milano dell’Ansa con i timbri dell’ufficio postale di Ancona Ferrovia. E’ scritto a penna in stampatello, tranne la firma, in corsivo e poco leggibile.

“KOMUNICATO X

Comunichiamo le condizioni per il rilascio di Emanuela Orlandi – XXX

  1. trattato tra Italia e Santa Sede sull’estradizione;
  2. pronuncia del papa favorevole;
  3. trasferimento di Agca nelle carceri vaticane;
  4. trattato tra la Santa Sede ed un altro paese come il Costarica o il Panama dove Agca potrebbe essere messo agli arresti domiciliari

Emanuela dice: “Papà ascoltami, ricordati i ritagli”.

Fronte di liberazione turco anticristiano Turkesh. Il mio nome è Alì Xocom Tilek Sholsun Mohammed (Antonov Aleksej).”

18 settembre 1984

Alle ore 12 arriva presso la redazione del Corriere della Sera di Roma il secondo comunicato del gruppo NOMLAC. Lo stesso richiede il trasferimento di Alì Agca nelle carceri del vaticano per essere poi, successivamente trasferito in un paese estero e messo agli arresti domiciliari. Viene altresì richiesta al vaticano una somma di denaro pari a venti milioni di dollari per il processo di scambio con Emanuela.

COMUNICATO 2 – Settembre 1984

EMANUELA ORLANDI E’ ORA IN MANO NOSTRA

EMANUELA ORLANDI STA BENE

EMANUELA ORLANDI HA DETTO – “MAMMA PREGA IL PAPA”

CONDIZIONI DI RILASCIO

ALI’ AGCA DEVE ESSERE TRASFERITO NELLE CARCERI VATICANE

ALI’ AGCA DEVE ESSERE MANDATO IN UN PAESE ESTERO DOVE PUO’ ESSERE MESSO AGLI ARRESTI DOMICILIARI

GIUDIZIO FAVOREVOLE DEL PAPA

SOMMA IN DENARO DAL VATICANO DI 20 MILIONI DI DOLLARI

LO SCAMBIO ENTRO IL 25 DICEMBRE

[TURKESC MORIRA’]

NOMLAC

NUOVA ORGANIZZAZIONE MUSULMANA PER LA LOTTA ANTICRISTIANA”

22 novembre 1984

Alla redazione milanese dell’Ansa arriva il settimo comunicato del Turkesh dove si sollecita l’intervento del pontefice per il rilascio di Emanuela e si indicano sette particolari della sua vita per testimoniare che gli autori del messaggio sono in contatto con lei e che, di conseguenza la giovane è viva:

“Komunicato – XX – A seguito del comunicato X questo è il penultimo – XXX – il sommo pontefice non ha ancora soddisfatto il trattato con il Costarica che indurrebbe lo Stato italiano a farne uno altrettanto significativo con l’Italia con conseguente liberazione di Alì Agca nelle carceri vaticane prima, agli arresti domiciliari dopo; chi si proclama vicario di Cristo parli, chi ha l’ordine sacro di perdonare perdoni. Chi ha parlato numerevolmente parli e firmi il trattato con paese cattolico.

A dimostrazione di questo allegando nell’ultimo comunicato la foto di Emanuela Orlandi et informazioni su XXX Mirella Gregori e altre ma solo dopo i due trattati. A dimostrazione per Ercole Orlandi sette particolari (l’altra faccia del foglio rivelata solo se veritiera):

I) Emanuela formulò una frase che rese di ghiaccio suo padre due giorni prima di essere rapita;

II) sa che sua sorella ha un problema;

III) ha un paio di scarpe bianche in un armadio;

IV) via Frattina 1982;

V) c’è bisogno di un medico che prescriva calmanti adatti a lei; la sua pressione è alta e l’orrenda prigionia determina questo bisogno;

VI) chiede di amica che si chiama Anna;

VII) un leggero blocco renale ha prodotto l’intorpidità di una mano. Risolto.

Chiediamo immediato intervento del papa. Alì Tucon (Aleksoj Antonov) Mohammed Teleki.”

26 gennaio 1985

Da Francoforte giunge al Ministero di Grazia e Giustizia l’ennesima lettera di minaccia al giudice Martella. “Il giudice Martella non tiene in alcuna considerazione le nostre richieste di rimettere in libertà Mehmet Alì Agca, Cerdar Celebi e tutti “i nostri amici” Il giudice Martella dimostra in tal modo un atteggiamento provocatorio. Finché le nostre richieste non verranno accolte consideriamo il giudice Martella e la sua famiglia insieme a tutte le rappresentanze italiane nella Repubblica Federale in Germania come ostaggi“.

31 gennaio 1985

Nel pomeriggio, alla Società Valtur Vacanze arriva una telefonata: “Noi ci teniamo che questa notizia venga subito divulgata alla stampa, all’agenzia Ansa e agli organi competenti. Emanuela Orlandi si trova nel lago […] Diciamo che è morta […] Nel lago nei pressi dell’EUR […] Siamo dei RAP, una nuova organizzazione e il significato di questa sigla lo spiegheremo in un prossimo comunicato.

In serata, presso la Stazione dei Carabinieri di Roma-Trastevere giunge una telefonata anonima. L’interlocutore, a nome dell’organizzazione RAT, chiede di annunciare la morte di Emanuela Orlandi avvenuta una ventina di giorni fa e il corpo si trova presso il laghetto dell’EUR. La RAT sarebbe una organizzazione internazionale nata per minacciare rappresaglie contro gli apparati dello Stato borghese, contro i Carabinieri/Polizia e contro altre persone che non fanno il loro dovere.

1° febbraio 1985

La famiglia Orlandi e la famiglia Gregori decidono di annuncia una ricompensa a chiunque riesca a fornire informazioni entro il 28 febbraio 1985.

13 febbraio 1985

Da Francoforte arriva un’altra lettera scritta in tedesco: “Abbiamo avvertito le autorità italiane, il giudice Martella e l’avvocato Albano, di lasciare in libertà Mehmet Alì Agca, Celebi ed altri nostri amici, affinché non si ripetano altri casi Emanuela Orlandi. Avvertiamo ancora una volta: cessate le manipolazioni di Agca, cessate di presentare Agca davanti al mondo come un robot, come scimmia e psicopatico! Non siamo criminali e delinquenti. Noi siamo combattenti per l’ISLAM. L’ideale supremo dei musulmani è l’islam: il dovere supremo è di uccidere gli infedeli. Se non saranno soddisfatte le nostre esigenze e la promessa di liberare Agca, i nostri colpi vendicatori raggiungeranno le famiglie Martella e Albano e tutti coloro che sono associati con la sorte di Agca!“

18 febbraio 1985

Hofer Josephine (Spitaler) telefona ai Carabinieri di Terlano (BZ) per riportare quanto da lei visto il 15 agosto di due anni prima (1983). Inizia ufficialmente, quella che verrà chiamata in seguito, la pista di Bolzano. La confidente, da informazioni riservate ottenute dai Carabinieri, risulta di normale attendibilità, scevra da equilibri di sorta ed assolutamente raziocinante, gode di buona stima e non è adusa a bevande alcooliche. La stessa prega gli inquirenti di mantenere l’anonimato.        

Il verbale Hofer

“il giorno di ferragosto del 1983 nella casa di campagna ove io abito, verso le 12 è giunta un’autovettura del tipo A112 targata Roma di colore blu-nero con a bordo un uomo che trasportava una ragazza di circa 14/16 anni che appariva molto stanca, con gli occhi quasi socchiusi ed inespressivi. La ragazza aveva le seguenti caratteristiche fisiche: altezza 1,60-1,65 m., forme non pronunciate, magra, capelli castano scuri, quasi neri, lunghi, lisci, molto sporchi. La stessa giovane vestiva nel seguente modo: camicetta a maniche lunghe colo verde posta al di fuori della cinta, blue jeans, scarpette in tela color beige, portava un girocollo in materiale non metallico dai colori molto sbiaditi ma che mi sembra ricordare verde-grigio.

L’uomo che accompagnava la ragazza, che so essere un buon conoscitore dei coniugi Springorum, che abitano al piano sottostante al mio, […] appena giunto ha accompagnato la ragazza, sostenendola per un braccio all’interno dell’abitazione, dicendole in lingua italiana: NON PUOI PARLARE CON NESSUNO PERCHE’ SONO TUTTI TEDESCHI. Dopo tre giorni presso la nostra abitazione si è presentato un personaggio in uniforme presumibilmente austriaca o tedesca […] di circa 35 anni, molto alto a bordo di una BMW verde metallizzata di cui la targa mi sembra essere stata WM-PS 70 e in lingua tedesca, parlando con gli Springorum asseriva che il giorno dopo la ragazza sarebbe stata prelevata da un altro individuo proveniente dalla Germania. Alcune ore più tardi, dopo essersi intrattenuto […] lasciava l’abitazione.

Il giorno successivo, 19 agosto 1983, giungeva un’autovettura del tipo Peugeot con a bordo tale Teuffenbach Rudolf, (nda Capitano dell’Esercito Italiano) fratello della moglie del signor Springorum, accompagnato dalla propria consorte. Alle 13,15 dello stesso giorno ho visto il Teuffenbach, sua moglie ed un’altra donna bionda di circa 35 anni, uscire dall’abitazione degli Springorum con la ragazza di quattro giorni prima che veniva caricata sulla Peugeot. In tale circostanza la ragazza, nello stesso stato psico-fisico ma leggermente più reattiva, vestiva gli stessi abiti con l’aggiunta di una fascetta sulla fronte, del tipo indiano.

Durante tale circostanza ho notato che la ragazza tentava di rivolgermi la parola senza riuscirci in quanto la donna bionda, da me mai vista prima, le spostava il capo in maniera brusca, quasi da volerle impedire un contatto visivo con altri. Mentre i detti personaggi si accingevano a partire, la donna bionda, rivolgendosi presumibilmente agli Springorum che non erano usciti di casa, in lingua tedesca, diceva queste parole “ES WIRD SCHONGUT GEHEN”. Da quel momento in poi non ho più visto quella ragazza”.

Altre precisazioni della Hofer

Nel corso del verbale la donna ribadiva quanto precedentemente ed oralmente dichiarato precisando:

  • di poter escludere che la ragazza da lei descritta sia una delle figlie di Rudolf Teuffenbach, da lei conosciute molto bene, fin da piccole e di essersi decisa a fornire tali notizie solo dopo lungo tempo, per paura degli Springorum;
  • di non essere in buoni rapporti con lo Springorum il quale si dimostra nei suoi confronti brusco e diffidente;
  • di essersi trovata occasionalmente presente sia all’arrivo che alla partenza della ragazza, a causa della conformazione del casale che non permette, a chi vi giunge, di accorgersi di persone eventualmente presenti nel vigneto o nella parte retrostante lo stabile;
  • di aver visto il Rudolf Teuffenbach per l’ultima volta il giorno 28 febbraio 1985, in quanto giunto al casale a bordo di una Fiat Regata bianca […] in quell’occasione si era intrattenuto per circa un quarto d’ora con lo Springorum evidenziando una forte arrabbiatura e turbamento;
  • che il personaggio tedesco chiamato il Conte ha le seguenti caratteristiche […] Tale personaggio era giunto nell’estate 1982 ed in quella occasione lo Springorum disse trattarsi di un poliziotto. Durante una seconda visita, circa un mese dopo, lo Springorum lasciava intendere trattarsi di un impiegato di banca (Bankkaufmann). Durante tale seconda permanenza, durata circa una settimana, il Conte dichiarava allo Springorum di essere in attesa di un personaggio che avrebbe dovuto portargli dalla Germania un passaporto. Lo stesso giorno, infatti, giungeva un uomo di lingua tedesca che consegnava al Conte una busta. Tali discorsi e tali fatti venivano percepiti dalla Hofer dalla finestra della propria abitazione che dà possibilità di seguire tutto ciò che avviene nel cortile sottostante;

  • che lo Springorum ha ospitato per 15-20 giorni un uomo di nazionalità turca ed un altro di nazionalità tedesca come braccianti agricoli;
  • che quando venne a conoscenza della scomparsa di Emanuela Orlandi rinfacciò allo Springorum di essersi preso quella ragazza (riferendosi alla Orlandi) dandogli del porco. Lo stesso, quasi pavoneggiandosi, rispose con un ghigno di vanto;
  • nell’autunno del 1982 i coniugi Springorum ospitarono per qualche giorno un uomo ed una donna di nazionalità tedesca, giunti con una Volkswagen, in compagnia di una bambina bionda di quattro-cinque anni continuamente piangente. La donna non aveva assolutamente l’atteggiamento di una madre nei confronti della piccola e quando la Hofer si propose di consolare la bimba, la signora, disinteressandosi della bambina la aggredì verbalmente con la frase pensa alla meda tua.
  • Successivamente, quando la coppia tedesca già era andata via, guardando un programma televisivo, venne a conoscenza del rapimento di una bambina avvenuto tempo prima in Germania. La bambina rapita riproduceva fedelmente le fattezze della bimba vista a casa dei coniugi Springorum con la coppia tedesca.

La maestra di musica Blum

La signora Giovanna Blum, una insegnante di musica del conservatorio di Bolzano, a verbale di sommarie informazioni, fa scrivere: “Verso la fine di luglio primi di agosto del 1983, verso le 00,30-01,00 sento squillare il telefono […] e dall’altra parte sento una voce femminile che asseriva di essere Emanuela Orlandi e di trovarsi a Bolzano e mi chiedeva di avvertire la polizia […] dopo circa cinque minuti ho telefonato al 113 dicendo quello che era accaduto, appena riattaccato il telefono questo squillava nuovamente e nel rispondere sentivo una voce maschile la quale mi diceva “Lei dimentichi quello che ha sentito ha capito” con tono piuttosto minaccioso e quindi riattaccava. Subito dopo ritelefonava la polizia avvertendomi di non aprire ad alcuno […] dopo ho ricevuto un’altra telefonata […] la quale con tono minaccioso mi intimava di smettere di telefonare in giro”.

Interrogatorio Kay Springorum

Dichiara:

  • di essere in Italia dal 1982 e di svolgere l’attività di agricoltore;
  • di non aver mai visto presso la propria abitazione di Terlano Mercedes bianche targate Roma. Di ricordare che verso la fine di agosto 1983 si era portato presso il proprio casale tale […], a bordo di una A/112 di colore blu-nero in compagnia forse della propria cognata […]. I due forse si erano fermati a dormire presso di lui. Il tale […], suo conoscente, svolge l’attività di direttore di agenzia viaggi in Francoforte […] e non dovrebbe saper parlare italiano.
  • di aver rivisto il tale […] in occasione del funerale del suocero, in possesso di una Mercedes gialla targata Francoforte. In quell’occasione era solo. In data 31/12/1984, aveva incontrato il tale […] per festeggiare il Capodanno ed, in quella circostanza, l’amico era tornato in Germania con Micaela Teuffenbach;
  • il 15 agosto 1983, nessuna giovane ragazza, vestita con blue jeans, camicia verde, […] era stata accompagnata presso la sua abitazione;

  • che il 19 agosto 1983, suo cognato Rudolf Teuffenbach, la di lui moglie ed un’altra donna bionda non si erano assolutamente portati a casa sua, né tantomeno erano usciti con una ragazza simile a quella descritta;
  • di non ricordare se nell’agosto 1983 Rudolf Teuffenbach si era portato presso la sua casa di Terlano ma che comunque, in quel periodo, il Teuffenbach possedeva già una Peugeot con targa tedesca;
  • di non aver mai ospitato conoscenti tedeschi con una bambina bionda al seguito nell’anno 1983;
  • di non aver mai ospitato cittadini turchi di lingua tedesca nel mese di ottobre 1983;
  • di aver visto, per l’ultima volta il Teuffenbach il lunedì o il martedì precedenti e di aver parlato con lui di problemi aziendali presso il casale di campagna;
  • di non aver mai ospitato presso la casa di Terlano un personaggio di lingua tedesca vestito in uniforme, in possesso di una BMW verde;
  • di non conoscere nessun personaggio tedesco che parla bene l’inglese chiamato il Conte.

Al termine della verbalizzazione gli viene mostrata la stessa fotografia a colori palesata alla signora Hofer riproducente Emanuela Orlandi riprodotta nell’aprile del 1983. Lo stesso dichiara di non aver mai visto la ragazza affermando comunque che ha una leggera somiglianza una delle due figlie di Rudolf Teuffenbach.

Lo stesso giorno viene fatta vedere la stessa fotografia di Emanuela alla moglie di Springorum Kay e anche lei trova una certa somiglianza con la figlia del fratello (Rudolf). Stranamente però non con quella riferita dal marito, bensì con un’altra figlia.

Altri testimoni

Tra le varie testimonianze di persone vicine alla Hofer Josephine (Spitaler) i carabinieri annotano a verbale che la signora H.H., esercente in un bar del luogo, riferisce che trenta o quaranta giorni or sono la Spitaler mi ha confidato, non senza timore ed emozione, che nell’estate del 1983 aveva visto trasportare cioè arrivare con una autovettura del tipo A112 […] e dopo alcuni giorni ripartire con il signor TEUFFENBACH una ragazza di circa 14-16 anni […] Ricordo che la Spitaler raccontandomi questi fatti, dopo qualche giorno dal loro accadimento, guardando la foto della Emanuela Orlandi, riconosceva senza dubbio nella ragazza da lei vista, la giovane scomparsa…

Se fossero “…quaranta giorni or sono…”, sarebbe il 27 gennaio 1985, periodo antecedente alla “promessa pubblica”. Se invece fossero “…trenta giorni or sono…” sarebbe il sei febbraio 1985, cinque giorni dopo la pubblicazione della “promessa pubblica”.

Viene interrogata la signora I.G., una operaia che a quel tempo faceva compagnia molto spesso alla Hofer e a verbale dichiara: non so esattamente quando, comunque ricordo un uomo insieme allo Springorum, che indossava una uniforme di colore scuro, calzava anche un berretto […] la Hofer segnava in una agendina tutti i numeri di targa delle macchine parcheggiate sotto casa e me le mostrava […] vedevo parecchia gente a me sconosciuta ma non sapevo se erano conoscenti o parenti degli Springorum, o loro braccianti stagionali. 

Al fine di ottenere ulteriori precisazioni, Rudolf Teuffenbach viene verbalizzato di nuovo e riferisce di:

  • non conoscere alcun personaggio tedesco a nome il Conte;
  • essersi ricordato che nell’autunno del 1982 aveva ospitato una coppia di amici berlinesi […] in compagnia di una loro figlia naturale, bionda e avevano in uso una Volkswagen Passat bleu con targa Berlino. In quella occasione la bambina si era comportata del tutto normalmente.

L’insieme delle dichiarazioni rilasciate dalla signora Hofer Josephine (Spitaler) evidenziano notevoli precisioni di dettaglio e totale assenza di contraddizioni. Le stesse dichiarazioni vengono ulteriormente integrate:

  • di aver visto, anche in precedenza, il personaggio che aveva accompagnato la ragazza a bordo della A/112, insieme a Micaela Teuffenbach, sorella di Francesca;
  • di aver visto il personaggio in divisa tedesca non solo nella circostanza indicata (18/5/1983) ma anche altre volte precedenti ed in particolare nell’autunno del 1982. In tale periodo, tale personaggio e lo Springorum parlavano male del suocero di quest’ultimo (all’epoca ancora in vita). Questo personaggio, in una circostanza, era stato visto anche da tale […], che avrebbe dovuto ricordarsi di lui in quanto ne era rimasta impressionata per l’imponenza fisica stridente con i suoi modi effemminati;
  • che anche il turco, precedentemente descritto, doveva essere conoscitore del personaggio tedesco in uniforme. Durante alcuni discorsi tra il turco ed altri ospiti tedeschi dello Springorum, tale personaggio veniva soprannominato Kisling […].

27 marzo 1985

L’inchiesta viene avocata dalla Procura Generale e passa da Domenica Sica a Ilario Martella.

20 aprile 1985

Il giudice istruttore Ilario Martella interroga Alì Agca. Sulla scomparsa di Emanuela il turco ipotizza che il rapimento è stato commesso per ottenere la sua liberazione perché i suoi complici per l’attentato al papa (Oral Celik, Bekir Celenk e Jelio Vassilev) gli avevano promesso un sequestro di un diplomatico o un personaggio politico oppure ancora di una personalità per conseguire il suo rilascio se fosse stato catturato. Nel corso dello stesso interrogatorio però formula un’altra ipotesi e cioè che il sequestro avrebbe potuto costituire una forma di pressione per indurlo a ritrattare le sue accuse nei confronti delle persone che aveva chiamato in causa in precedenza per l’attentato al Papa.

7 maggio 1985

Ilario Martella dispone le perquisizioni a carcio di Rudolf Teuffenbach. Le perquisizioni sono per: il domicilio a Merano, l’ufficio presso la sede dei servizi segreti a Roma, l’abitazione di Ladispoli. In quest’ultima viene sequestrato un libro, Der Vatikan durchs Schlüsselloch betrachtet (Il Vaticano visto attraverso il buco della serratura).

24 maggio 1985

L’avvocato Egidio offre ai giornalisti una nuova ricostruzione. Emanuela potrebbe essere stata rapita in conseguenza della vicenda Agca.

13 giugno 1985

Nel corso della 12^ udienza del processo per l’attentato al papa, Agca dichiara che Emanuela Orlandi è ostaggio della P2 di Licio Gelli che ricatterebbe la Santa Sede e il governo italiano per ottenere la liberazione dello stesso Agca e lo userebbe per obiettivi occulti in campo internazionale. “Questa organizzazione [la P2] sapeva con certezza che io ero Gesù Cristo e voleva inserirmi, scambiarmi, nel Vaticano e usarmi come strumento. Io sono per tutta l’umanità e non sarò strumento di nessuno. Io rispetto la democrazia italiana. Non raccomando perciò lo scambio.”

Alle affermazioni di Agca, l’avvocato Gennaro Egidio risponde: Non turbi (Agca) una famiglia angosciata per la sorte della giovane Emanuela – lasci il divino che a lui certo non compete e dimostri di essere un uomo parlando chiaramente e dettagliatamente.

17 giugno 1985

Indirizzata al Capo dello Stato On. Sandro Pertini giunge una lettera al Quirinale dove il MACI (Movimento Armato Comunista Internazionale) asserisce che Emanuela Orlandi è viva e che sarà liberata allorquando la RAI trasmetterà il 20 e 21 luglio il film di Roberto Rossellini Germania anno zero e Furore di John Ford. Durante la trasmissione dei film si dovrà far trascorrere lentamente per quattro volte ogni 15 minuti la seguente scritta (seguono due messaggi in cui il MACI rivendica le forze dei lavoratori e del lavoro come rilancio economico e sociale del paese).

Il 29 giugno Sandro Pertini si dimette, la scadenza naturale sarebbe stata il 9 luglio. Viene eletto Presidente Francesco Cossiga con 752 voti su 977.

22 ottobre 1985

Presso i Carabinieri si presenta Anna Orlandi, sorella di Ercole e zia di Emanuela.

“In data odierna, presso questi Uffici, si è presentata spontaneamente Orlandi Anna, nata a Città del Vaticano il 4 novembre 1932, ivi residente, Via S. Egidio s.n., nubile, la quale, in relazione alla scomparsa della nipote Emanuela Orlandi, rilasciava l’acclusa dichiarazione dalla quale si evince, tra l’altro, che la stessa, nel periodo estivo dell’anno 1980, in Roma, conobbe un giovane all’epoca presentatosi per “ROSSI Paolo”. Con il predetto aveva allacciato un rapporto di amicizia frequentandosi fino al mese di maggio 1983, epoca in cui interruppe ogni relazione”.

La ORLANDI Anna, nel mese di giugno del corrente anno, dal signor Ezio D’Ignazio, abitante in Torano, era venuta a conoscenza che il “ROSSI Paolo”, in effetti, si identificava in TOSCHI Paolo, abitante in Roma, con recapito telefonico n. 54442317. La predetta riferiva anche di non aver avuto alcun rapporto sessuale con il TOSCHI, ma soltanto di amicizia.

Concludeva affermando che:

  • il TOSCHI Paolo non aveva mai conosciuto né frequentato i suoi familiari, tra i quali, ovviamente anche Emanuela;
  • durante gli incontri con l’uomo, gli aveva accennato che aveva una nipote a nome Emanuela che frequentava il Conservatorio di musica, senza, peraltro, indicargli l’esatta ubicazione;
  • la Emanuela era a conoscenza della sua relazione con il Toschi, anche perché, qualche volta, riceveva dallo stesso le comunicazioni telefoniche destinate alla zia;
  • qualche giorno prima, tra la documentazione del padre, deceduto nel settembre 1981, aveva rinvenuto una busta da lettere su cui era scritto “Paolo Toschi, busta con schedine”, deducendone che il Toschi, in una delle tante telefonate effettuate presso la sua abitazione, istintivamente, avesse fornito al padre il suo vero nome (allegato n.1).

Dagli accertamenti svolti, il TOSCHI Paolo veniva identificato in TOSCHI Paolo, nato a Chieti il 24/11/1950, residente in Ostia Lido, via Alcide Pedretti n.34, tel. 5610417 intestato alla di lui moglie, ROSCIOLI Terry.

Per essere certi dell’identificazione del Toschi, veniva effettuato un riconoscimento fotografico da parte della ORLANDI che riconosceva, senza ombra di dubbio, il TOSCHI per quello raffigurato nella fotografia n. 3 dell’unito fascicolo fotografico (Allegato n.2).

L’utenza telefonica n. 54442317 è intestata all’Alitalia di Roma, Piazzale Giulio Pastore.

Premesso quanto sopra e considerato che il TOSCHI:

  • all’atto della conoscenza con ORLANDI Anna, si qualificò alla stessa sotto il falso nome di “ROSSI Paolo”;
  • con la donna non ebbe alcun rapporto “intimo”, a dire della ORLANDI, per cui gli incontri avuti con essa, protrattisi per ben tre anni, presumibilmente erano finalizzati alla acquisizione di notizie sul conto della famiglia ORLANDI,
  • per tali motivi, si prega la S.V. di voler disporre l’intercettazione telefonica dell’utenza n. 5610417, installata ad Ostia Lido, via Alcide Pedretti n.34, abitazione del TOSCHI Paolo, per la durata di giorni quindici, onde poter reperire elementi utili a far luce sulla scomparsa della minore in oggetto indicata, non altrimenti conseguibili.

L’intercettazione, se concessa, sarà eseguita presso la sala ascolto di questo Reparto Operativo a cura di ufficiali di P.G. dipendenti, considerata la necessità e l’urgenza, per il personale operante, di predisporre rapidamente adeguati servizi allo scopo di intervenire tempestivamente qualora fossero intercettate telefonate relative alla vicenda in argomento”.

Verbale riconoscimento Paolo Toschi

27 novembre 1985

All’Agenzia ANSA di Milano arriva un nuovo Comunicato del Fronte di Liberazione Turco Anticristiano Turkesh.

KOMUNICATO XXX

Questo è l’ultimo. Purtroppo. Emanuela non tornerà più. Sono spietati. La colpa è soprattutto del Vaticano, di papa Wojtila, dello IOR, del “giudice” di Alì Agca.

NOI DEL FRONTE abbiamo rischiato la vita stessa per salvarla! Non abbiamo purtroppo notizie ancora della delittuosa fine ma per conforto ai genitori diamo 35 particolari=

I emanuela non ha sofferto mai.

II emanuela è sempre rimasta attaccata ai genitori.

III emanuela è sempre stata serena.

IV i più cattivi li abbiamo fermati.

V quando aveva otto anni ebbe una cicatrice.

VI si preoccupava anche dei tumori.

VII gli sono stati consegnati gli articoli a suo riguardo soprattutto da me.

VIII pensava ad un lago.

IX ha fatto un testamento.

X vuole che la sua esperienza non sia ripetuta e spera anche in mirella gregori.

XI ha avuto problemi di occhiaie.

XII chiedeva di un amico chiamata “carlo”.

XIII i farmaci non gli mancavano.

XIV da ragazza ebbe la vista di una bestia feroce.

XV un giorno disse “papà un giorno non tornerò più”.

XVI molto legata ad una nonna.

XVII se volete pregare su di lei andate nel lago trasimeno.

XVIII le malattie d’infanzia l’anno disturbata più della media.

XIX chi scrive è un medico.

XX credeva nella pace.

XXI speriamo.

XXII i capelli le han dato disturbo per qualche tempo.

XXIII soffriva di un dolore verso il fegato.

XXIV era dolce e sensibile.

XXV era affermativa! Lo sa il padre per un episodio avvenuto nel 1971.

XXVI ha avuto un’emicrania nel 1973.

XXVII voleva andare in una città: Losanna.

XXVIII chiama sempre “anna”.

XXIX voleva girare il mare.

XXX un episodio del battesimo l’ha sempre colpita.

XXXI amava un attore americano e un’attrice anziana.

XXXII è stato un problema per lei la prima bicicletta.

XXXIII una volta in una pineta amò molto il verde.

XXXIV ci siamo assicurati di dare i cristiani sacramenti.

XXXV le ultime parole: “io vi amo”.

FRONTE LIBERAZIONE TURCO ANTICRISTIANO “TURKESH”

3 dicembre 1985

All’ANSA di Milano arriva un nuovo comunicato Turkesh. Afferma che Mario Ilario Ponzi è innocente, non è lui l’autore dei comunicati. Dopo un resoconto dei comunicati, incolpa il Papa, il governo del Costarica, il giudice Santipiachi e Agca, anche se non si sa per cosa. Si definisce “colomba” e consegna un codice alla “nota personalità”.

Mario Ilario Ponzi è il mitomane individuato come redattore di alcuni comunicati del fronte Turkesh.

15 dicembre 1985

Il Papa si reca in vicista nella parrocchia di San Giuseppe, la parrocchia che frequentano i Gregori. Il parroco permette ai genitori di incontrare il Papa, a patto che entrino dalla sacrestia. I genitori fanno così ma la mamma di Mirella individua un viso a lei molto familiare. Una delle guardie addette alla sicurezza del Papa è la persona che lei ha visto intrattenersi con Sonia e sua figlia nel periodo prima della scomparsa. Questa persona era solita frequentare il bar dei De Vito. Nel giorno di chiusura andava in un altro bar, all’incrocio tra via Nomentana e via Reggio Emilia.

Lo sconosciuto sarebbe Raoul Bonarelli, vicecapo della polizia vaticana. Quando la mamma della Gregori farà l’incontro per determinare se era davvero lui, non lo riconoscerà.

29 marzo 1986

Dopo novantatré udienze, al termine di una camera di consiglio durata quattro giorni, si conclude il processo per l’attentato al papa. Serghey Antonov, Todor Ayvazov, Jelio Vassilev, Omer Bagci, Musa Serdar Celebi, Oral Celik vengono assolti per insufficienza di prove. Bekir Celenk, nel frattempo, era deceduto e Alì Agcà, che stava già scontando l’ergastolo inflittogli a luglio 1981, viene condannato ad un anno di reclusione per il reato di introduzione d’arma.

17 giugno 1986

L’agente in servizio davanti al Senato parlava nel 1983 di una BMW modello Touring con vernice bicolore. BMW Italia S.p.A. afferma di non aver mai importato vetture di tale tipo e la Bayerische Motoren Werke A.G. di Monaco (BMW, casa madre) afferma di non averla mai prodotta bicolore.

7 maggio 1987

I genitori di Emanuela e Mirella, in una conferenza stampa dallo studio dell’avvocato Gennaro Egidio e trasmessa da Canale5, per la seconda volta offrono una somma di denaro. L’offerta è valida fino al 22 giugno 1987, giorno in cui cade il quarto anniversario della scomparsa di Emanuela:

  • due miliardi di lire a chi fornirà notizie utili a far ritrovare vive le figlie;
  • 750 milioni di lire a chi li aiuterà a far riavere almeno i resti delle due ragazze e degli oggetti personali per la identificazione;
  • mezzo miliardo di lire a chi aiuterà gli inquirenti a risolvere il mistero delle scomparse e assicurare alla giustizia i responsabili del rapimento.

12 giugno 1987

Al viceconsolato italiano della città turca di Mersin, a 380 chilometri da Ankara, si presenta al Viceconsole Emilio Levante, un giovane turco di nome Muftu Fevzi asserendo di essere un emissario della banda che tiene prigioniere Emanuela Orlandi e Mirella Gregori e che vuole parlare con i genitori delle ragazze.

Avvisato Gennaro Egidio dopo numerosi colloqui si reca in Turchia con un aereo privato, per conferire col ragazzo. In cambio delle due ragazze il turco vuole per lui, il cugino e altri due componenti della banda, passaporti italiani e tutti i documenti necessari per espatriare, tramite l’ambasciata, in Italia. A fronte della sua credibilità faceva sapere agli inquirenti e per loro tramite ai Servizi di Sicurezza dello Stato che:

  • le due giovani erano vive, in buona salute e prigioniere in un campo di terroristi di estrema destra, alcuni dei quali amici di Ali Agca;
  • la notizia gli era pervenuta da un suo cugino, Mustafa Guzel, che si era unito all’organizzazione circa due anni fa ed era stato assegnato al campo dove erano tenute prigioniere le due ragazze;
  • il cugino ed altri due del campo intendevano dissociarsi dall’organizzazione ed erano pronti, prima del cambio degli uomini al campo (circa 15) che avrebbe avuto luogo entro la fine di giugno 1987, a liberare e consegnare le due ragazze;
  • aveva appreso da uno dei due, che lo contattava telefonicamente al nr. 23116 e che aveva visto una volta a Mersin, che Mirella Gregori si era ammalata in questi ultimi giorni, di epatite virale;
  • la consegna avrebbe avuto luogo tra il due e il cinque luglio 1987 al Consolato d’Italia di Mersin; sarebbe stata consegnata prima Mirella Gregori in quanto ammalata;
  • la prima ragazza avrebbe portato con se tre fotografie del cugino e degli altri due con le quali le Autorità italiane avrebbero dovuto rilasciare tre passaporti per i tre dissociati;
  • quando i documenti sarebbero stati pronti si sarebbe provveduto alla consegna di Emanuela Orlandi, trattenuta nel frattempo quale garanzia.

30 giugno 1987

Il giovane turco Muftu Fevzi riferisce agli inquirenti che:

  • il distacco del gruppo dei tre dissociati e delle due ragazze dal campo era stato completato, ma nel corso dell’operazione uno dei tre sarebbe rimasto gravemente ferito nelle mani dell’organizzazione ed era l’unico a conoscenza del piano di fuga e i rifugi sicuri;
  • era intenzione a restituire le due ragazze in unica soluzione;
  • si sentiva sorvegliato e seguito (e lo era davvero nda) ed era pertanto molto irritato e nervoso;
  • i due dissociati volevano sapere quale Organo dello Stato li stava controllando e chi lo aveva disposto […];
  • non era escluso che le ragazze, per una migliore garanzia, potessero essere avviate all’Ambasciata di Ankara anziché al Consolato di Mersin nella notte tra il sette e l’otto luglio.

Successivamente, il padre di Muftu Fevzi riferisce al Console di Mersin che:

  • il figlio mesi addietro aveva rubato una macchina finendo in carcere per 30 giorni;
  • durante gli esami di preparazione per l’ammissione all’università aveva contratto amicizie con persone non molto raccomandabili anche se era un ragazzo d’oro, ingenuo, debole di carattere e facilmente influenzabile;
  • aveva iniziato a giocare a carte e sembrava aver contratto numerosi debiti di gioco;
  • appariva negli ultimi tempi un professionista della truffa operando e derubando con vari pretesti anche componenti della famiglia.

Alla luce di tutto questo gli inquirenti sono portati a: “….valutare negativamente la notizia, anche se il comportamento del ragazzo in tutta la vicenda lascia adito a qualche considerazione ancora positiva, laddove adombrino riferimenti precisi sulle due ragazze collocandole in un contesto alquanto verosimile. Comunque si rimanda il tutto all’esito delle notizie richieste ai Servizi di Sicurezza dello Stato”.

Il 30 settembre il Reparto Operativo dei Carabinieri risponderà che i fatti sono infondati.

27 ottobre 1987 – La puntata di Telefono Giallo

Va in onda la puntata di Telefono Giallo, trasmissione condotta da Corrado Augias, in collaborazione con Donatella Raffai. Gli ospiti della puntata sono: Franco Ferracuti, Pietro Orlandi, Nicola Cavaliere, Gennaro Egidio e Richard Roth.

Gli operatori del centralino sono pronti a qualche telefonata da parte dell’Amerikano o qualcuno dei rapitori. La chiamata infatti arriva e identificano subito la cabina telefonica del telefonista. La Polizia di Stato si precipita ma del chiamante nessuna traccia.

In una telefonata meritevole di attenzione l’interlocutore dice: “RAI, sono Pierluigi, se parlo mi ammazzano”. Il chiamante viene identificato subito come Pierluigi Magnesio, amico di Emanuela. Pierluigi il 12 agosto 1983 dichiara che è amico di Emanuela da 4 anni, di averla vista il 22 giugno e di averci parlato mentre lei andava verso la scuola di musica. Si lasciano con l’intenzione di rivedersi alle 19:30 dietro la mola Adriana. La sera del 26 giugno non era a Roma ma a Ladispoli a cena con i suoi genitori, che avrebbero consumato a casa.

Nell’altra interessante telefonata, uno sconosciuto con accento anglosassone chiede di parlare con l’avvocato Egidio accreditandosi come «Dica all’avvocato “Codice 158“». Durante l’attesa per il trasferimento della chiamata dal centralino allo studio passano alcuni minuti che fanno cadere la linea.

La stessa però era stata già intercettata e proveniva dal numero 5629815 di Ostia Lido intestato a Mafalda Silvestri ed in uso a Roberto Magnani e Paola Silvestri. I magistrati ordineranno fin dal giorno dopo la messa sotto controllo di quel numero e del 5626650, intestato a Studio K srl Centro Elaborazione Dati Aziendali, che fa capo alla moglie di Roberto Magnani, signora Paola Silvestri.

Magnani viene interrogato e dichiara di aver telefonato per porre delle domande sul caso Orlandi agli interlocutori presenti in studio, nonché di essersi emozionato ed intimidito tanto da fornire al centralino false generalità. La perizia fonica di raffronto tra la voce dell’Amerikano e Roberto Magnani conclude che sono attribuibili allo stesso parlatore. Le indagini proseguono mettendo sotto controllo il telefono in uso a Magnani al fine di comparare la sua voce con quella pervenuta al centralino della Rai.

Si legge nell’Ordinanza di Stralcio a firma del Giudice Istruttore Adele Rando che: “Tuttavia, a fronte delle esplicite omissioni del Magnani e dei risultati del raffronto fonico, non pare che tale circostanza possa sfuggire al perorato supplemento di indagine” perché “l’identificazione dell’utenza da cui era partita la telefonata era stata inficiata da dubbi derivanti dalla difformità dell’orario rilevato dai Carabinieri operanti rispetto a quello individuato dai tecnici della SIP”.

Per riassumere: l’orologio del Carabiniere segnava le 00:09 mentre quello della SIP le 00:17. Gli orologi dei Carabinieri e del centralino Rai differivano di 8 minuti. A causa di questa differenza non è stato possibile fare una perizia tra la voce dell’Amerikano e quella del Magnani, non c’erano certezze sulla conferma dell’orario.

Dal 1987 ad oggi

Si sono susseguiti depistaggi, considerazioni, libri e convegni.

Ormai molto noti sono due fatti molto recenti. Il primo riguarda le dichiarazioni rese da Sabrina Minardi, il secondo che riguarda le piste indicate da Marco Fassoni Accetti. Nel prossimo articolo sulle piste seguite le troverete tutte descritte e spiegate, così come si riescono a ricostruire attraverso la stampa, i libri e le varie dichiarazioni.

Parte 1 – la scomparsa (link)

Parte 3 – le piste di indagini e file PDF gratuito con tutto il caso (link)

Pubblicato da criminalmotive

Dottoressa in scienze e tecniche psicologiche, appassionata di criminologia.

4 Risposte a “Emanuela Orlandi – sviluppi”

  1. «La busta è affrancata come raccomandata espresso ma con due marche del tipo Cassa di Previdenza, una da 2.000 lire e l’altra da 500 lire, una marca da bollo per patenti da 11.000 lire del 1982 e due francobolli da 170 lire. Il totale è di 13.840 lire.»
    Previdenza > Provvidenza ???
    patenti > guidare ???
    13840 > anagramma: 4-10-83, S. Francesco patrono d’Italia ???
    I dubbi sono l’unica certezza.

    1. Buongiorno, se vogliamo iniziare a guardare numeri e lettere per cercare necessariamente un coinvolgimento del Vaticano, lo troveremmo, vista l’enorme mole di dati e informazioni su cui si potrebbe ricamare ma credo sinceramente che la soluzione di questo caso sia ben diversa. Parlo per sulla base della mia opinione personale sul caso.

  2. «il nome della cittadina soppressa (“a causa della reprensibile condotta della segreteria vaticana”) il 5 ottobre 1983» vale a dire il giorno successivo alla data che si ricava dall’anagramma del costo totale dell’affrancatura, che sembra esagerata nonché strana

    1. Come ho scritto in risposta all’altro commento, tutto potrebbe essere giusto, così come tutto potrebbe essere errato ma se vogliamo l’anagramma di quella cifra potrebbe essere anche un altro. 1384 potrebbe rimanda a Santa Francesca Romana, per esempio, nata nel 1384. I rimandi possono essere davvero tanti, se si vuole necessariamente cercare rimandi, codici e messaggi criptati.

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